Se Trump viene contestato anche quando cerca la pace
08 Novembre 2017
Trump non è sicuramente Churchill, gli appeaser, dall’era di Hitler a quella di Kim Jong Un, invece, sembrano sempre proprio gli stessi. David Nakamura e Ashley Parker sul Washington Post del 7 novembre riportano questa frase di Donald Trump “Some people said my rethoric is very strong, but look what’s happened with very weak rhetoric over last 25 years”: qualcuno dice che la mia retorica è troppo forte, ma guardate dove siamo finiti dopo 25 anni di retorica debole. Accanto a queste parole Trump ha messo in chiaro la disponibilità a trattare anche con Kim Jong Un. Nonostante questa disponibilità, il Presidente Usa è stato contestato da proteste pacifiste sottolineate con soddisfazione da Federico Rampini sulla Repubblica sempre del 7 che dei manifestanti scrive: “pensano che sia più pericoloso lo zio d’America che il cugino di Pyongyang”. Trump certamente non è Winston Churchill ma i giovani sudcoreani e i loro lodatori repubbliconi sembrano molto nipotini di Neville Chamberlain, dei giovani laburisti ultrapacifisti di allora (di cui è erede Jeremy Corbyn) e degli ambienti filonazisti di Londra che applaudivano il Patto di Monaco con annesso regalo dei Sudeti ad Adolf Hitler. Come diceva il vecchio Churchill: “Potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra”.
Tornando sullo sfregio disgustoso e imbecille ad Anna Frank compiuto da alcuni tifosi della Lazio. “Il fatto di essere nato sulla piazza del mercato di Testaccio e di essere cresciuto a Trastevere, fra Piazza Sonnino e Monte Savello, dove gli ebrei vivono da oltre duemila anni, mi ha fatto conoscere assai presto i tre volti dell’ostilità antiebraica presenti in una città ospitale, aperta e tollerante come Roma. I tre volti sono quelli dell’estremismo di destra, di sinistra e cattolico. Ognuna di queste matrici – a volte sovrapposte fra loro – attacca gli ebrei con messaggi, metodi e pregiudizi diversi. L’episodio degli adesivi razzisti contro Anna Frank rientra nella prima tipologia ovvero l’estremismo di destra”. Maurizio Molinari su La Stampa del 28 ottobre ha descritto con l’abituale cura e intelligenza le radici profonde del ributtante sfregio ad Anna Frank. “E’meglio dire, più prosaicamente e tuttavia più efficacemente: da oggi non la farete più franca, con voi la parola passa alla repressione intransigente senza troppi distinguo e giustificazionismi, vi abbiamo individuato, non metterete mai più piede in uno stadio, Daspo eterno, e galera se vengono riconosciuti i reati, e pugno di ferro, squalifiche spietate con le società di calcio come è avvenuto in Inghilterra stroncando gli hooligans, così imparano a non vigilare sui violenti, sui razzisti, su quelli che si portano la svastica appresso e inneggiano ai nazi e dicono schifezze su Anna Frank perché sanno che resteranno impuniti” scrive con uguale intelligenza Pierluigi Battista sul Corriere della Sera del 24 ottobre, spiegando che al di là delle condanne verbali, vanno presi provvedimenti efficaci contro tifosi così pericolosamente imbecilli. Perfetto Molinari e così Battista, resta ancora un dubbio sulla psicologia degli insultatori cretini: si sentono eredi di una riprovevole ma non estinta tradizione, credono di poterla fare sempre franca, non stanno tanto a pesare all’idiozia dei loro gesti, eppure continua a impressionarmi come non ci si renda conto che insultare uno dei più potenti simboli nella storia recente della fragilità umana contro la cieca barbarie, ti crei giustamente e immediatamente un clima assolutamente ostile intorno. Si dirà sono infamie già viste, però a mio avviso si coglie forse il nuovo segno di una ferocia incontrollata della parola che si sta affermando in troppi ambienti e non solo in quelli cosiddetti populisti ma anche in quelli che a questi si oppongono e si considerano espressione di un raffinato elitismo. Quindi, si tenga sempre alta la bandiera della lotta all’antisemitismo, si colpisca con la durezza della legge e delle regole sportive i fomentatori di odio, ma ci si faccia anche costantemente un esame di coscienza su quanto odio anche noi nel nostro piccolo spargiamo.
Addavenì Cecco Beppe! “Osservare un giornalista di Rainews 24 che delinea, con una bella mappa, le nazioni che hanno iniziato a prendere (con differenti intensità) posizioni di destra nazionalista è spassoso. Si va dall’Ungheria, bollata come ultra nazionalista che odia tutti dai migranti a Soros, alla recente votazioni in Austria, che ha di fatto consolidato una posizione politica di centrodestra. A guardare bene la mappa si vede come Germania, Ungheria, Austria, Polonia (grossomodo una buona porzione dell’allora Impero austroungarico precedente alla prima guerra mondiale) siano di fatto posizionate sul fronte centrodestra”. Enrico Verga sul suo blog pubblicato da Il Fatto il 17 ottobre nota con acutezza come certi assestamenti nel cuore della Mitteleuropa siano espressione di tendenze di lungo periodo. Più o meno le stesse considerazioni si trovano sull’agenzia russa, accusata non senza una punta di ossessione di essere uno dei cervelli di una nuova disinformatija, Sputnik. Analisti, magari fomentatori al servizio di Mosca, comunque tutti osservatori più seri di certi sperduti giornalisti che dopo il voto a Sebastian Kurz si chiedevano perché Vienna fosse più attratta da Budapest che da Bruxelles.
Secondarie. “Archiviate, che suona un po’ meglio di cancellate” Oriana Liso sulle cronache milanesi della Repubblica del 31 ottobre cautamente scherza sui dirigenti del Pd lombarda che hanno deciso di non fare le primarie (sono state “archviate”, d’altra parte se non erro era successo così anche in Sicilia) sul candidato che sfiderà Roberto Maroni: Giorgio Gori. Qualche giorno dopo, il 3 novembre, sempre la Liso cautamente prende le distanze da quella parte della sinistra-sinistra (innanzitutto il cosiddetto Mdp) che contesta “l’archiviazione” dicendo (parole riferite dalla Liso): “Avete scelto Gori per incoronazione? Votatevelo”. La stampa amica al fondo sembra molto “amica” di Gori e quindi sorvola. Certo che quando Matteo Orfini il 5 novembre sulla Repubblica spiega perché Renzi ha i titoli più netti per essere candidato a Palazzo Chigi e dice “Affidammo la scelta agli elettori e per questo ci chiamiamo Partito democratico”, un dubbio ci sorge: in Lombardia la forza politica che sosterrà Gori contro Maroni si presenterà con il nome “Partito già democratico”?