Segreti e misfatti per il pubblico impiego
19 Maggio 2007
La situazione in materia di contratto sul pubblico impiego è ormai paradossale. Nonostante, le generose concessioni ai sindacati, nonostante reiterate minacce di scioperi ed immediati protocolli di intesa, il Governo è tuttora sottoschiaffo, rischia di subire uno sciopero generale, ma soprattutto di andare in frantumi, viste le forti divaricazioni fra ministri e leader della coalizione. Ma finalmente, ieri, alta e forte si è levata la voce di Lugi Zanda, vicepresidente dei senatori dell’Ulivo e uomo vicino al vicepremier Francesco Rutelli, che ha solennemente dichiarato “Pacta sunt servanda”. Finalmente uno scatto di rigore e di responsabilità del Governo!
Per comprendere bene la vicenda è indispensabile ricapitolare. La legge finanziaria per il 2007 ha stanziato risorse complessive pari a 3,7 miliardi di euro per i dipendenti dello Stato – corrispondenti a 6,8 miliardi se riferiti a tutto il settore pubblico. Le risorse stanziate sono sufficienti per riconoscere aumenti fino al 4,46% a regime. Una per percentuale di tutto rispetto soprattutto se confrontata con l’andamento degli stipendi pubblici, dei salari nell’industria e dell’inflazione negli ultimi anni.
Il d.d.l. presentato dal Governo prevedeva, per ragioni di cassa, che un quota di detti aumenti, pur riferita la biennio 2006-2007, decorresse dal 1° gennaio 2008. Tale previsione fu contestata durante l’esame parlamentare della finanziaria dai sindacati e – dopo la minaccia di sciopero – si giunse in tutta fretta ad un accordo che prevedeva l’immediata esigibilità dell’intero aumento. Il Governo peraltro dichiarò formalmente che tale modifica non determinava maggiori oneri per il bilancio dello Stato.
Ma naturalmente si trattava di una finzione. Ed infatti, dopo nuove contestazioni e minacce di sciopero,il venerdì di Pasqua il Governo annunciò in pompa magna la sottoscrizione di un protocollo di intesa, che prevedeva l’impegno del Governo ad anticipare al 1° gennaio 2007 la quota degli aumenti che la legge finanziaria aveva previsto a decorrere dal 1° gennaio 2008, con una spesa pari a 2 miliardi per i soli statali, 3,7 per tutti i pubblici dipendenti.
Siglato il protocollo, il Governo ha avviato le procedure di rinnovo predisponendo la direttiva quadro, la quale prevede – coerentemente con le previsioni della finanziaria – aumenti complessivi sino al 4,46%. Tale direttiva ha immediatamente determinato reazioni di protesta dei sindacati i quali lamentano la violazione degli accordi presi. In realtà, la direttiva appariva del tutto conforme agli accordi sino ad allora resi noti.
Il motivo della protesta sindacale è diventato chiaro il 17 aprile 2007, quando – sul quotidiano “Italia Oggi” – è stato pubblicato un accordo riservato firmato dal Ministro Nicolais, dal sottosegretario Sartor e da CGIL, CISL e UIL (e gli altri sindacati rappresentativi dove erano? E perché non protestano per un’esclusone del tutto illegittima?), nel quale il Governo si impegna a riconoscere ai dipendenti dei ministeri un aumento non inferiore a 101 euro medi mensili.
Un aumento medio di 101 euro mensili per i “ministeriali” corrisponde all’incirca ad un aumento medio del 5,01%, mentre un aumento del 4,46% , riferito ai ministeriali si traduce in un aumento medio non superiore a 92 euro.
L’accordo riservato motiva il riconoscimento di un aumento di 101 euro con le disponibilità derivanti dalla riduzione del personale in servizio, che, a parità di risorse, consentirebbe di erogare aumenti medi superiori a quelli precedentemente indicati.
Si tratta peraltro di una motivazione falsa in punto di fatto e sbagliata in punto di diritto. Negli ultimi due anni si è effettivamente registrato un calo del numero dei dipendenti dei ministeri ma di dimensioni assolutamente insufficienti per consentire una revisione così significativa della percentuale di aumento. Lo 0,5% di aumento in più rispetto al 4,46% equivale ad una percentuale di maggiore aumento superiore al 10% e, certamente, il numero dei dipendenti dei ministeri non è calato del 10%.
Dal punto di vista formale inoltre un approccio del genere, oltre ad essere del tutto inedito sul piano dei principi, dovrebbe essere, ove accolto, seguito in modo coerente. Negli ultimi anni i dipendenti pubblici nel loro complesso sono aumentati. Il criterio della rideterminazione degli aumenti sulla base delle variazioni di consistenza del personale implica evidentemente che nei comparti (la maggioranza) nei quali si registrano aumenti negli organici la percentuale di aumento dovrebbe essere corrispondentemente ridotta. Sinceramente, c’è da dubitare che i sindacati siano disponibili ad accettare uno scenario del genere. Al contrario, riconosciuti 101 euro di aumento ai ministeriali, anche gli altri comparti pretenderanno aumenti pari al 5,01%.
La questione, poco comprensibile all’opinione pubblica, è tutta qui: per i ministeriali aumenti pari a 93 o a 101 euro? Aumenti del 4,46%, come fissato in finanziaria e comunicato ufficialmente al Paese, o del 5,01% come promesso da Nicolais e Sartor?
Questo è il dilemma tragico nel quale sembra trovarsi il Governo: obbedire alle leggi dello Stato o rispettare i patti sottoscritti? In realtà, il pasticcio nasce direttamente da quel mix di spregiudicatezza, furbizia ed imperizia che ha condotto ad un accordo riservato che contraddice gli accordi assunti pubblicamente dal Governo. Ora il sindacato pretende (giustamente dal suo punto di vista) il rispetto dell’impegno preso, mentre il Ministro Padoa Shioppa (presumibilmente irritato con il suo sottosegretario Sartor) vorrebbe restar fermo alle condizioni pattuite in modo trasparente durante la finanziaria e nei mesi successivi.
Ma non si tratta di una mera questione di principio. Lo 0,5% in più riconosciuto alla chetichella da Nicolais e Sartor implica oneri a regime per 600 milioni di euro per i soli statali (circa il doppio per tutti i pubblici dipendenti). I quali sommati ai 3,7 miliardi per il 2007 riconosciuti dall’accordo del venerdì di Pasqua fanno un bel gruzzoletto.
Vedremo alla fine chi vincerà. L’impressione peraltro è che Padoa Schioppa si sia, per la prima volta, irrigidito sul pubblico impiego perché conta di giocarsi questa carta nella partita, per lui decisiva, dello scalone pensionistico (e della revisione dei coefficienti). Probabilmente, lo 0,5% altro non è che l’osso da mollare quando l’inseguimento sul terreno delle pensioni si sarà fatto per lui insostenibile.
In ogni caso, il richiamo ai supremi valori della lealtà e della correttezza istituzionale sembra fuori luogo. I patti che devono essere rispettati sono quelli conclusi in modo legittimo e consapevole. Secondo i sacri principi del diritto civile, i contratti viziati da errore, dolo o violenza o che siano in frode alla legge non sono validi. Più che di “pacta sunt servanda”, in questo caso, sarebbe meglio parlare di “pizzini sunt servanda”.