Sei buone proposte per dar vita al nuovo partito del centrodestra
14 Agosto 2008
Il tema della forma partito torna prepotentemente nel dibattito politico quale compimento di una complessa transizione iniziata alla fine dello scorso secolo, e quale risultato di nuove dinamiche sociali e culturali a livello nazionale e internazionale.
Il sistema partitico italiano, così come lo scenario politico nel suo insieme, ha vissuto una radicale ricomposizione nei primi anni Novanta, che si è declinata con l’emersione di fenomeni nuovi e fluidi, tipici di una complessa transizione: dalla crescente frammentazione/ricomposizione negli schieramenti, alla diluzione/affermazione di identità e tradizioni storiche, sino ad un fenomeno politico-istituzionale assai anomalo, che è stato definito della “partitocrazia senza partiti”: cioè la presenza di un sistema di apparati partitocratici, non più di tipo organizzativo e ideologico come lo erano i partiti di prima, ma piuttosto l’espressione di idee e stili afferenti a un singolo leader politico. Oggi tale percorso conosce una nuova tappa, in qualche misura un potenziale consolidamento, assumendo forme e declinazioni compiute alla luce di alcuni nuovi e più definiti elementi di scenario. Le rilevanti sfide economiche che assieme all’Europa l’Italia deve affrontare, infatti, non consentono più al nostro Paese il lusso di mantenere in vita un sistema incompiuto. L’esperienza di numerosi altri Paesi europei e occidentali ci insegna che un sistema è dinamico ed efficace se è in grado di esprimere partiti rilevanti dal punto di vista quantitativo e di espressione del consenso. C’è da dire, poi, che lo scenario internazionale propone una crescente esigenza di identità, soprattutto in Europa, in un Occidente che sempre meno ama se stesso. Ciò comporta l’esigenza di marcare con chiarezza le identità e di creare un partito fortemente animato dalle sollecitazioni etiche di questo nuovo tempo, che delineano l’obiettivo di costruire il Ventunesimo secolo su tracce assolutamente alternative a quelle che in Europa il secolo dei totalitarismi, con la sua criminale aggressione alla centralità della persona, ci ha purtroppo lasciato in eredità. Non è la domanda di nuove ideologie consolatorie, né il ritorno del bisogno di Stati o partiti etici: è piuttosto il maturare di interrogativi di fondo sull’identità delle nostre nazioni e della nostra civiltà.
Sono almeno sei le suggestioni che possono venire ai fini di una proposta di regolamentazione di un nuovo partito, che sappia mettere insieme e amalgamare le varie realtà politiche presenti nella coalizione del centro-destra italiano.
2.1. Una prima suggestione potrebbe essere quella di prevedere l’incompatibilità tra le cariche di partito e quelle di governo. A tutti i livelli: a partire dal presidente e dal segretario del partito, il cui ruolo non può coincidere con quello di premier; per arrivare alle responsabilità di coordinamento provinciale e regionale, che non possono sovrapporsi a quelle di ministro o di sottosegretario, così come a qualsiasi altra carica istituzionale.
2.2. Una seconda suggestione – per rendere ancora più evidente la caratteristica di partito-progetto e partito-programma, accanto al naturale svolgimento periodico dei congressi – potrebbe essere quella di convocare congressi straordinari in coincidenza con le scadenze elettorali. In sostanza, quattro o cinque mesi prima delle elezioni politiche si potrebbe tenere un congresso straordinario per indicare programma e candidato premier. Lo stesso criterio si potrebbe, poi, seguire per le elezioni amministrative o regionali. Nella democrazia dell’alternanza la scadenza elettorale acquista un valore progettuale e programmatico particolare cui bisognerebbe far corrispondere un’intensa, straordinaria preparazione e mobilitazione di tutto il nuovo partito.
2.3. Una terza suggestione è quella di realizzare un solo grande partito nazionale articolato in strutture democratiche di forte autonomia regionale e locale. Viviamo in società multiformi e contraddittorie: sempre più complesse e sempre più flessibili, ma anche sempre più bisognose di unità e di sintesi. La rappresentanza politica deve mostrarsi all’altezza di questa complessità e di questa flessibilità, rispondendo però nello stesso tempo, all’esigenza dell’unità e della sintesi. Tradendo l’esigenza della flessibilità tra centro e periferia si rinsecchirebbe la rappresentanza, ma tradendo l’esigenza della sintesi nazionale si destituirebbero di fondamento le capacità di governo e di progetto. L’esito di questo ragionamento porta a un partito unitario articolato in autonomie regionali: realizzando fin da subito una sorta di rivoluzione copernicana nel sistema di selezione delle classi dirigenti. Si può a esempio ipotizzare che il 70% delle candidature per le politiche nazionali venga deciso dai comitati regionali, riservando la restante quota del 30% alle indicazioni nazionali. Com’è evidente basterebbe questa scelta per creare un nuovo equilibrio tra centro e periferia.
2.4. Una quarta suggestione, inoltre, è quella che mira a far valere il principio della trasparenza democratica di ogni scelta. Il criterio ispiratore può essere quello di un sistema elettorale fondato su mozioni politiche e liste a esse collegate, votate a scrutinio segreto su base proporzionale. È questo un sistema che può nello stesso tempo garantire forza indiscutibile alle maggioranze e diritti inalienabili alle minoranze. Il legame tra le scelte delle cariche direttive e la presentazione di mozioni politiche evita, inoltre, il rischio che maggioranze e minoranze possano cristallizzarsi in posizioni irreversibili, aiutando invece il formarsi di una matura opinione progettuale e programmatica. Da questo punto di vista potrebbe essere importante immaginare norme che garantiscano la periodicità del ricambio, legando magari a un congruo tempo definito la durata dei mandati direttivi. Si potrebbe istituire nella dialettica decisionale del partito lo strumento del referendum, limitandone ovviamente l’uso solo in determinate circostanze e su determinati temi. In tal senso, assai utile è senz’altro lo strumento telematico: e quindi, l’utilizzo di Internet anche ai fini di sondaggi – fra gli elettori – circa le scelte politiche e organizzative da compiersi.
2.5. Una quinta suggestione, per fare in modo che il nuovo soggetto mantenga nel tempo le caratteristiche di un “partito aperto”, potrebbe essere quello di creare forme di permanente e organizzata dialettica con i movimenti, le associazioni, i club attivi nella società e anche con le diverse categorie sociali. Si potrebbe, a questo proposito, immaginare di costruire, come forme strutturate della vita del partito, assemblee delle donne, dei giovani, della cultura, dell’impresa che, pur nell’autonomia della loro elaborazione, abbiano diritto a partecipare a congressi e organismi dirigenti con proprie quote di rappresentanza.
2.6. Grande attenzione, infine, quale sesta e ultima suggestione, sarebbe opportuno che il nuovo partito lo dedicasse alla formazione e alla selezione della classe dirigente. Ciò che oggi vale per le nazioni nella competitività internazionale vale anche per i partiti nella competitività politica: la qualità e il merito devono diventare la bussola delle scelte. Non è più certo il tempo nel quale i partiti possano trovare a svolgere direttamente l’opera di alfabetizzazione e di acculturazione di una volta. La società di oggi non lo permette più. Essi devono, però, saper creare intorno a sé una rete di fondazioni, di centri studi, di riviste da usare attivamente come antenna del mutamento e che, selezionando temi e programmi di governo, diventi anche la fucina della formazioni delle classi dirigenti. Una rete: o addirittura una fondazione delle fondazioni che, sul modello della Adenauer in Germania o della American Enterprise Institute negli Stati Uniti, svolga il ruolo di retroterra ideale e programmatico del partito.