Senatori a vita, i 4 di Napolitano e le solite polemiche
30 Agosto 2013
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha nominato quattro nuovi senatori a vita: il direttore d’orchestra Claudio Abbado, l’architetto Renzo Piano, la biologa Elena Cattaneo e il fisico premio Nobel Carlo Rubbia. Ma non sono mancate le polemiche sulle nomine, soprattutto dai banchi di Lega e Cinque Stelle.
Ad ogni tornata di nomine di senatori a vita, puntualmente, rispunta fuori la polemica sulla loro utilità, su quanto sia giusto che in un organo elettivo possano entrare a far parte personalità grazie ad una nomina esterna e, soprattutto, del loro ruolo specie in periodi di maggioranze risicate. In effetti, molte riflessioni non appaiono peregrine ma, di fronte ad una consuetudine vecchia di secoli, sarebbe bene non riaprire il dibattito come se fosse in atto un colpo di Stato.
La storia delle nomine dei senatori a vita è costellata di aneddoti e di personalità quanto mai diverse e non sempre adatte al ruolo “regalato” loro dai vari Capi dello Stato. Tutto ciò non può bastare per definirsi tout court contrari ad un istituto che ha permesso al nostro parlamento di farsi rappresentare da gente come Manzoni e Verdi e, in tempi più recenti, da Trilussa, Montale e Bobbio. Se una nota di merito ha questa disposizione costituzionale è proprio quella di permettere alle nostre istituzioni di aprirsi a chi il nostro Paese lo ha rappresentato senz’altro meglio di molti parlamentari che, oltre al consenso popolare, non avevano, in verità, altre doti particolari.
Uno dei punti sempre ricorrenti è rappresentato dall’eterno dibattito su quale debba essere, in effetti, il numero dei senatori a vita. Autorevole dottrina, suffragata poi da un parere della giunta per il regolamento del Senato richiesto dall’allora Presidente della Repubblica Pertini, afferma che l’art 59 della costituzione può essere interpretato sia in modo elastico che in modo letterale. Si pensi che, addirittura, le interpretazioni sostanziali non furono due ma ben tre. Una prima interpretazione elastica venne adottata dal presidente Einaudi che, addirittura, arrivò ad esercitare il diritto di nomina per ben otto volte.
Tra rinunce (Toscanini) e morti, come quella di Trilussa (che accettando proprio prima di scomparire disse: “m’hanno nominato senatore a morte”) si guardò al numero complessivo di senatori di nomina presidenziale in carica. Altri presidenti, invece, interpretarono la disposizione in modo più che lettarale: si pensi che Scalfaro, essendo ancora 5 i senatori di nomina presidenziale in vita, non esercitò mai il diritto di nomina. Fu così infatti che, come nel ’92 e ’99, i senatori a vita arrivarono ad essere undici mentre, in altri momenti, come nel ’48, ’61 o nel 2013, i senatori ammontavano a non più di due.
Un’altra interpretazione che ha dato alla dottrina un notevole humus è stata quella riguardante la parte di disposizione costituzionale che, sempre all’art. 59, sancisce il requisito di “aver illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Non è un mistero che, oltre ai letterati e scienziati le porte del Senato siano state aperte anche a vecchi politici, più o meno ancora attivi sulla scena. In alcuni casi, come quelli di Don Sturzo nel ’52, di Parri nel ’59 o di Nenni nel ’70 si tenne certamente conto del ruolo durante la resistenza e, pertanto i distinguo furono praticamente assenti.
Un altro caso fu quello di Giovanni Leone che, pur essendo un politico in attività, era unanimemente considerato uno dei più fini e grandi giuristi europei, un merito che nessuno osò negargli neanche durante gli anni bui del caso Lockheed. Per Spadolini nel ’91, uno degli storici più preparati che l’Italia avesse conosciuto, valse lo stesso discorso. In altri casi, come quello di Andreotti nel ’91, allora in carica come Presidente del Consiglio in molti non riuscirono a trovare un nesso tra i requisiti richiesti e quelli effettivamente in possesso del nominato. Con Colombo e Napolitano stesso la nomina dei politici veterani trovò ormai ampio precedente così da annullare qualsivoglia disputa dottrinale.
Pur ammettendo lo “sforamento” (oggi i senatori sono sei) non si tiene conto che, innanzi tutto, i mandati di Napolitano sono due e che quindi è scorretto sommare la nomina di Monti alle quattro odierne. In secondo luogo, Ciampi, è senatore di diritto, prima che a vita, e che il suo computo non andrebbe annoverato neanche tenendo in considerazione l’interpretazione restrittiva. Possiamo quindi discutere quanto vogliamo dell’opportunità di queste figura, sulla giustezza del loro diritto di voto in quanto “nominati” ma, questo dibattito, ce lo risparmi chi, grazie al Porcellum, si trova nella stessa posizione di “nomina” tanto contestata ai senatori a vita.