Senza alcuni errori del passato il Pdl può tornare ad essere partito di governo
28 Novembre 2011
Col governo Monti un dato è diventato ancor più evidente: che quel 25% di consensi elettorali conservati dal Pdl e sopravvissuti a tutto, nel breve e medio periodo, avrebbero potuto garantire soltanto un decoroso futuro politico a Berlusconi e ad un partito tagliato e cucito sulla sua persona ma, con qualsiasi legge elettorale, non gli avrebbero più consentito di ritornare ad essere l’asse portante della politica italiana. A quel 25% bisogna quindi aggiungere qualcosa d’altro, ma senza puntare esclusivamente su una strategia di alleanze con altre forze politiche del Ppe. Quei consensi bisogna incrementarli e, dato che non si volatilizzano, se Berlusconi accetta di fare il ‘padre nobile’ tra le quinte, non è neanche un’impresa impossibile.
A meno che non ci si intestardisca a fare gli stessi errori del passato.
Se non si punta a creare una mitologia politica, che è comunque difficile da utilizzare politicamente, in politica, recriminare serve a poco, o forse a nulla. Dire che la crisi dell’Ue e dell’euro ha travolto il Governo Berlusconi e non il contrario serve, ma si deve anche tener conto che, in fin dei conti –checché si voglia dire del servilismo della stampa nostrana–, all’opinione pubblica quei ministri presentati come sobri e competenti (e in gran parte lo sono) sta piacendo. E questo porta ad una sola conclusione: che nel futuro, per discutere, anche a livello elettorale, del modo in cui uscire dalla crisi, bisogna mettere in campo personaggi altrettanto sobri e competenti che abbiano qualcosa di credibile da dire su come trasformare l’Ue avendo di mira i nostri interessi nazionali e la funzionalità delle tante e pletoriche istituzioni comunitarie guidate da tecnocrati neo-saintsimoniani.
Di personalità politiche e tecnico-accademiche che abbiano in tempi non sospetti richiamato l’attenzione sui limiti della costruzione europea ce ne sono. Ma, nel suo tentativo di non esporsi all’accusa di euro-scetticismo, Berlusconi non li ha valorizzati. Piuttosto che richiamare l’attenzione, anche dell’opinione pubblica, su un processo di costruzione europea che, con scarsa democrazia, stava puntando a trasformare il resto dell’Ue nello spazio economico di una Germania che, imposti i suoi costi sociali agli altri paesi, finiva per restare l’unico paese produttore, Berlusconi ha pensato che quel processo sarebbe potuto essere sfruttato per far passare anche in Italia quelle riforme, e quel contenimento della spesa pubblica che dall’interno sembrava impossibile fare. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Come che la crisi dell’Ue, se non la si affronta con idee nuove, finirà per travolgerci.
Il fatto è che un PdL egemonizzato da Berlusconi non ha avuto, e non avrà, la capacità di attrarre quelle competenti intelligenze, e ce ne sono, dalle quali potrà nascere una riflessione politicamente spendibile su come fare contemporaneamente le riforme in Italia e nell’Ue.
Per ora, da Monti e dai suoi ministri, non è venuta ancora un segnale significativo circa il modo di trasformare l’Ue. Si sta al carro di Merkel e di Sarkozy e si pensa di utilizzarne la forza per imporre riforme interne inutili e punitive dato che nessuno dei due ne accetterà mai di tali da poter mettere in discussione le posizioni già acquisite.
Per quanto sia ovvio che non possa essere un governo tecnico quello che dovrebbe trovarsi anche nella situazione di dover decidere se uscire dall’Ue e dall’euro, si sta facendo di tutto per lasciargli la responsabilità di una decisione che non sembra certo una remota eventualità. E se ciò dovesse avvenire, chi lo ha consentito si assumerebbe una responsabilità politica e storica che frustrerebbe ogni sua futura ambizione politica.
Ma il nostro obiettivo non è ora quello di discutere delle forme di commissariamento delle democrazie e di avanzare congetture su come scongiurarle (ciò che presupporrebbe una fiducia illimitata nella democrazia, che chi scrive e senza riserve, la preferisce alle forme di governo in cui le scelte pubbliche vengono fatte da governi non eletti), quanto quello di richiamare l’attenzione su una serie di errori sperando che ciò possa servire per evitarne di analoghi in futuro.
La prima cosa da dire è che chi ha votato Berlusconi lo ha fatto perché pensava, sperava e credeva (fino ad un certo momento) che avrebbe ridotto la politica. Ed invece ci siamo trovati dinanzi a qualcosa d’altro e a continuare a far politica per difenderlo da attacchi di vario tipo, e variamente fondati, che hanno finito per produrre un calo di fiducia sia in Berlusconi, sia in quei suoi più o meno stretti collaboratori che non hanno avuto le palle per fargli capire che le “feste eleganti” e le performance musicali dovevano restare il più custodito ed inaccessibile dei segreti di stato. Non per ipocrisia moralistica, ma per politica: per evitare che i suoi tanti sostenitori passassero il loro tempo a spiegare che tali innocenti divertissements non gli impedivano di studiare i dossiers, né di pensare, come un “buon padre di famiglia”, al destino del paese che gli era stato affidato dagli elettori.
Ma questi sono i nostri amici, ed in spirito d’amicizia bisogna dire questo ed altro. Compreso che se quegli ineccepibili “comportamenti privati” hanno inciso sul morale dei suoi sostenitori, quella scellerata politica di nomine fatta a quasi tutti i livelli ha finito per premiare non quelle individualità tecnico-scientifico-accademiche che si erano avvicinate al PdL, bensì gli “esterni”. Anche in questo caso, per mostrare che si facevano le cose seriamente e senza partigianerie, si sono scelti altri col risultato che il dibattito culturale interno si è inaridito e che quelle personalità si sono allontanate. Tant’è che, nel momento del bisogno, quando l’offensiva contro Berlusconi ha raggiunto la fase della delegittimazione umana e politica, non c’era quasi nessuno che ne prendesse le difese con un’autorevolezza tale da indurre l’opinione pubblica se non altro a riflettere sull’accusa secondo la quale erano Berlusconi stesso, ed i suoi “vizi”, a trascinare l’Italia al disastro. Ed anche quando si è visto che fattosi da parte il reprobo la situazione non migliorava, si trovano ben pochi opinion makers disposti a scommettere sul PdL perché convinti che dalla crisi sarà possibile uscire solo se si lavora all’elaborazione di una cultura politico-economica nuova che non abbia complessi di inferiorità rispetto a quella della sinistra e di quel centro che vede nei tecnici prestati alla politica la soluzione ai propri e perenni problemi di afasia culturale.
Già, la cultura e gli intellettuali! Possibile che nel PdL nessuno li ascolti e li metta in condizione di provare a fare qualcosa? Quanti ne attrarrebbe una politica di questo tipo? Siamo proprio sicuri che dall’ascoltare quelle che sono le loro fisime non possa nascere qualcosa di utile? È possibile che una cura per la loro malattia professionale: la vanità possa essere quella di metterli finalmente a fare qualcosa? Perché non provare?
Ci sarebbero tante altre cose da dire, ma ora, per incrementare quel 25%, è importante immaginare e trovare una linea politica che consenta di aggregare quanti non pensano che quella del Governo Monti sia una possibile via d’uscita dalla crisi. E per farlo occorre anche smettere con politiche settarie nel campo delle questioni bioetiche e dei valori. Non è tanto in questione il fatto che quel che sta avvenendo preoccupa, semmai bisogna chiedersi se sia possibile trasformare i peccati in reati in un mondo in cui con voli e cure law cost è possibile non incorrere negli uni e neanche negli altri. E che senso abbia, per un partito che vuole allargare la sua base di consenso, continuare a pensare, da parte delle sue non tante menti pensanti, che la soluzione possa essere quella di ispirarsi alla Dottrina Sociale della Chiesa. Di una Chiesa che oggi pensa che per uscire dalla crisi dei mercati (e sorvolo sulle espressioni con cui li si definisce) bisogna creare un Autorità etica mondiale che li regoli. Si potrebbe dire che mentre la posizione della Chiesa è condivisibile nella parte della questioni ‘eticamente sensibili’ quella riguardo l’economia lo è meno. Ma siccome è possibile anche il contrario, è bene –sia detto con consapevole cinismo– non introdurre altri elementi di divisione.
Oggi, semplicemente, abbiamo bisogno di vedere intorno ad Alfano, facce nuove e credibili che parlino di idee e di soluzioni che possano aggregare e non dividere.