Senza il cristianesimo la modernità è spacciata
12 Ottobre 2008
Pubblichiamo qui di seguito l’anticipazione del libro di Raffaele Iannuzzi, Il suicidio della modernità (Cantagalli, Siena, 2008) che uscirà in libreria il prossimo giovedì 16 ottobre.
È un rovesciamento assiale della realtà e dei piani della realtà. Ecco il risultato dell’azione dell’Anticristo. L’Anticristo è il Diavolo, il grande Separatore. Diàballo vuol dire appunto “separare”. Cioè, uccidere. Il mondo alla rovescia. Uno svuotamento della realtà storica e personale, millantato come “progresso”, nel senso di emancipazione dell’individuo dai legami con la realtà, la memoria e la tradizione. In sostanza: l’individuo è figlio di nessuno, dunque schiavo di ogni potere dominante. Non ha radici e passato, non ha memoria e nostalgia, è il frutto all’apparenza sempreverde di un albero artificiale. L’albero dal quale Adamo ed Eva colsero la mela, disubbidendo ai comandi di Dio, è oggi un albero che nasce in serra, gonfio di rimedi artificiali, astratto, separato dall’Origine. È quanto accade oggi: non ci sono più radici e il pensiero radical-progressista sostiene che questa posizione sia la migliore per essere liberi. Risultato: nessuno è più libero di essere quel che è fin dalla nascita. Nessuno è più libero di essere consapevole della propria origine. Nessuno è, così, più responsabile. Nessuno deve, in sostanza, dare più risposte a nessuno. Nessuna responsabilità. Nessuna risposta. Il verbo latino respondeo significa rispondere. Ma a chi dobbiamo, in questa situazione di surreale sradicamento, risposta? Si è liberi perché non si sa più da dove veniamo. Appunto: “si” è, si tratta di un impersonale, non c’è più il soggetto. È il Man heideggeriano, l’impersonalità della folla. Il collettivo impersonale. Un liberalismo umanistico non può che prendere le distanze da questo sciagurato libertarismo privo di fondamenti etici. Un nichilismo. Il nichilismo è, infatti, l’“ismo” più acconcio all’Anticristo.
Il piano dell’Anticristo è chiarissimo: lo svuotamento della persona, a cominciare dalla sua libertà di creatura che ha un’origine naturale, un padre ed una madre. Origine naturale, non c’entra niente la religione. Partiamo dalle fondamenta. Come volevano gli Scolastici. Prima la natura. Ma è certo che la creatura abbia anche un Padre. Dio Padre. In altre parole, l’Anticristo intende annientare prima la radice naturale e poi quella soprannaturale, perché la sua teologia è raffinata: Gratia supponit naturam et perficit eam. La grazia presuppone la natura e la conduce a compimento. L’annientamento della realtà della persona in quanto creatura, amata e creata da Dio e libera di ribellarsi perfino a Lui, avviene in modo totale. Per l’Anticristo, la libertà è un gioco di società, mentre per Dio la libertà è un evento drammatico. Anzi, la libertà in se stessa è rapporto con l’infinito. Una differenza fondamentale che, sul piano pratico, produce molte conseguenze. Ad esempio, sul piano politico, pensare la libertà come un gioco equivale a decidere che l’aborto possa essere concepito come un diritto assoluto delle donne e non, invece, quel che realmente è, cioè una tragedia che distrugge l’esistenza di qualsiasi donna. Attraverso il congelamento della libertà, che si riduce ad una rinuncia alla responsabilità legata alla maternità, alla procreazione di vita. Dunque, questa pseudo-libertà, che nasce dall’Anticristo, genera soltanto morte e distruzione. Questo è il volto dell’Anticristo: falsa luce che acceca. L’illusione demoniaca di poter fare tutto anche a spese degli altri, di chi non ha colpa alcuna. Il tutto con la benedizione della mentalità dominante.
L’Anticristo è, dunque, il marchio di fabbrica dell’ideologia radical-libertaria e radical-libertina. Non c’è alcun dubbio. Qui non c’è un’oncia di sana modernità. C’è la deriva nichilistica della modernità. Una caricatura che ha anche le sue radici, ovviamente, ma che, in ogni caso, non definisce l’essenza del percorso etico della modernità. Non religioso, ma etico. Il fatto che molti ideologi e politici radicali usino ideologicamente e pretestuosamente il Vangelo per far tornare i conti rispetto alla loro etica dell’annientamento della vita è esattamente una mossa della ragione pervertita dell’Anticristo, che cita l’esempio di Cristo senza amarne
Qui non vige la legge aurea della modernità, la legge del pensiero critico, la ragion critica che sorveglia i limiti del linguaggio e del pensiero, ma, al contrario, domina incontrastata l’ideologia dell’annientamento e la legittimazione, non tanto delle «magnifiche sorti e progressive», quanto dell’Età dell’Oro dei diritti come illecito collettivo e dittatura del desiderio. Siamo ben al di fuori della modernità. Oltre la vicenda della modernità come avventura della ragione aperta alla categoria della possibilità. Circola molto risentimento. Guardini documentava, già negli anni Cinquanta del secolo scorso, un divorante risentimento nei confronti del cristianesimo da parte dell’ateismo militante e anche del più mite agnosticismo, realtà ben nota a Nietzsche. Oggi siamo oltre questa dimensione di risentimento, ci troviamo all’interno del cerchio ideologico della destrutturazione di ogni senso comune, cioè di ogni senso che accomuni. Abitiamo nel cuore del nichilismo violento ed ideologico. La distruzione della modernità più sana è proprio questa. Ancora una volta, così, si ritorna alle diatribe da reazionari: tradizionalisti versus modernisti. Se ci ricacciamo nel vicolo cieco delle antitesi scolastiche, torniamo indietro, legittimiamo l’atteggiamento di chi si è già dato per vinto e non vuol sentir ragioni. Un gioco di specchi a somma zero.
La modernità, invece, non solo non rifiuta la cristianità, ma la introduce nel suo corpo come elemento sano e dotato di una forte carica auto-immunizzante. È l’auto-immunizzazione dalle violente scariche elettriche provenienti dalle ideologie radical-libertarie e libertine. È, dunque, profondamente sbagliato ritenere che ci sia modernità solo quando la vita non ha più valore, l’eugenetica domina e il ricatto ideologico predomina, secondo lo schema: se non sei così e non fai così, allora non sei veramente moderno! Così la modernità nel suo aspetto costitutivo, cioè drammatico, come abbiamo visto, finisce inesorabilmente nel gorgo del nichilismo violento. Una modernità invertebrata come
Il tema è la consistenza delle nuove domande di senso. Non le vecchie certezze di ieri, ma le nuove domande di oggi. Le minoranze ideologizzate non le comprendono e, perciò, le censurano. I soliti schemi, vecchi e da anni Settanta: l’aborto è una «conquista civile», il divorzio è un «baluardo» della libertà individuale, ecc. La libertà dei «polli d’allevamento», simili a quei «rivoluzionari da bar» messi alla berlina da Gaber dei primi spettacoli degli anni Settanta. Le battaglie dei reazionari sono sempre frutto della reattività. E sono sempre battaglie di retroguardia. La realtà incrociata dai reazionari è sempre a qualche chilometro di distanza dalla meta. Marx osserva che soltanto i reazionari sono in grado di capire il senso della storia, perché, avversandola visceralmente, ne sono in qualche modo consanguinei. Può darsi. Ma, se diamo retta ai criteri di Marx, allora non ci sono più i reazionari di una volta. I nuovi reazionari sono i finti progressisti. Questo pensiero complica non poco la faccenda. Quando costoro dicono, infatti, «progresso civile», il treno del progresso, che magari non è un TGV, ma è comunque più veloce, è già passato da un pezzo. Così, il loro nome sfuma nei titoli di testa di questo vecchio film ripescato da un fondo di magazzino.
Ma di reazionari ve ne sono una legione, come dice il Vangelo. Ci sono anche i reazionari più acuti e acculturati. Apparentemente non ideologici, anzi perfino realisti in certi loro tratti, con un’eredità schmittiana e weberiana rispettabile, in fondo politici e scaltri. In una parola: politicamente corretti. Questi reazionari “intelligenti” sono i più pericolosi. Un esempio è senza dubbio l’editoriale di Cacciari, dedicato alla laicità dello Stato, contenuto nel numero di febbraio 2007 della rivista di analisi strategica, «East. Europe and Asia STrategies». Se l’intervista di Cacciari al quotidiano «Il Foglio» recava il titolo Intervista all’Anticristo, volendo in qualche modo ironizzare e stemperare il giudizio di Socci sul filosofo veneziano, che invece è ben fondato e argomentato, in questo caso, con questo editoriale, potremmo dire di trovarci di fronte ad un «Rapporto politico dell’Anticristo». Un report di quelli che possiamo tranquillamente scaricare dai siti più prestigiosi dei centri di ricerca internazionale. Uno scritto impastato di retorica laicista molto vicina alla deriva nichilistica-tragica della modernità, qualcosa che somiglia molto all’esaltazione di un suicidio di massa. Una retorica, questa, che fa del disincanto la misura della disgregazione del diritto naturale, sul quale oggi tornano a riflettere alcuni significativi pensatori americani, da Novak a Weigel, e sul quale Sarkozy, insieme alla parte più combattiva e sanamente conservatrice – dunque, non reazionaria, nel senso sopra descritto – della società francese, fonda ancora oggi la novità della politica francese. Nonostante la crisi politica di Sarkozy. Cacciari ragiona da giacobino disincantato. Si autocensura, non intende spingere troppo in là il suo giacobinismo, ma quest’ultimo, alla fine, riemerge. Vorrebbe essere “oggettivo” e lucidamente disincantato, perfino disilluso, ma non ce la fa.
Non troviamo l’oggettività weberiana, in realtà un mito sociologico, ma troviamo un bell’esempio di ciò che abbiamo inscritto nella categoria dell’Anticristo. Vediamo in che senso. Cacciari intercala la sua teoria dello Stato, oggetto dell’editoriale, con la precisazione di sempre: «Dico tutto ciò perché, pur disincantato, non sono totalitario, anzi sono anti-totalitario e anti-giacobino». Excusatio non petita, accusatio manifesta, recita l’antico brocardo. Infatti, si tratta di una menzogna, perché, dietro questa dissimulazione disonesta, c’è molta ideologia illiberale, giacobina e totalitaria. Facile da smascherare. Seguiamo il percorso argomentativo. Per Cacciari, lo Stato è laico da sempre. Esso esercita una «sovranità mondana» e, con la sua auctoritas, cioè legittima autorità sovrana, entra in scena l’altra faccia del regno, il regno secolare, la reggenza del potere sulle istituzioni, senza con ciò penetrare ogni ganglio della società. Perché lo Stato, qualsiasi forma di Stato, è costitutivamente laico, dunque non accetta sovranità esterna, quella della Chiesa, ad esempio, né magistero teologico. Ma con ciò non occupa tutta la società, non la ingoia, non la divora, come farebbe il totalitarismo. Lo Stato non accetta la griglia di valori che la tradizione gli consegna, non accetta il diritto naturale, non sopporta l’autorità della tradizione di un popolo, esso produce compromessi tra i valori e le realtà, di volta in volta emergenti, e nel solco di questa provvisorietà, che – precisa Cacciari – «non è relativistica» (ma allora cos’è? Qual è la sua natura?), alla fine rimane solo sulla scena della storia. Perché i singoli non possono agire efficacemente di fronte alla sua auctoritas; la società civile è altra cosa rispetto al «Politico» e dunque non rappresenta che se stessa, in modo autoreferenziale; i valori sono negoziabili per definizione, sempre e solo dallo Stato.
Dunque, a questo punto ci domandiamo: cosa rimane della politica? E cosa rimane dell’etica personale fondata sui valori consegnati al singolo dalla sua tradizione familiare e da quella del popolo al quale appartiene, dalla sua religione? Su tutto ciò, assoluto silenzio. Tutto è affermato, in maniera apodittica, senza uno straccio di giustificazione razionale. Perché si presume che la maggioranza pensi così, dunque la verità è già scritta. Ma già Tocqueville richiamava il problema essenziale di una democrazia: il dispotismo della maggioranza. Soprattutto se fondata su verità cartacee. Una cosa è certa, nonostante gli attacchi dell’Anticristo reazionario: la verità sull’uomo e sulla sua tradizione non può essere decretata a colpi di maggioranza. Da tutto ciò si comprende perché qui il nichilismo, mascherato da disincanto e proceduralismo formale-democratico, un kelsenismo riveduto e corretto, non rispetti più né il singolo di fronte allo Stato, che può tutto, né la società civile, che, in quanto totalmente altra dallo Stato, deve rimanere separata dal governo e dal comando delle strutture e degli «apparati ideologici di Stato» (Althusser).
Si tratta di un case-study: il nichilismo struttura la forma-Stato in modo da rendere infondata qualsiasi sovranità. Il nichilismo assurge a dimensione unica della cosiddetta laicità, nella realtà ben altra cosa. Tant’è vero che è certo difficile pensare lo Stato come una realtà laica fin dall’origine, salvo presumere che la tesi di Schmitt secondo il quale i concetti politici non sono altro che concetti teologici secolarizzati non disegni il profilo complessivo del nichilismo politico. In altri termini, uno Stato che non accetta alcun valore come riferimento etico-politico. Ma una posizione di questo genere non è sostenibile. Sulla scia di numerosi studi, da Giovanni Gentile ad Alberto Tenenti, per finire ad Ernst H. Kantorowicz, tutto si può dire tranne che la «laicità dello Stato», come la intende Cacciari, sia auto-evidente. Al contrario: siamo in presenza di una forma di potere politico che si organizza mediante l’assemblamento di pezzi di autorità sacrale, inscritti nel corpo della macchina statuale.
Ma vi anche qualcos’altro di non trascurabile. Nella lettura di Cacciari, qui portatore di una retorica da Anticristo reazionario, la politica mostra chiaramente come la modernità, priva di un fondamento drammatico, aporetico, stabilito sulla base di una tradizione che non cede il passo alla retorica dominante dei nuovi poteri bio-politici e del nuovo nichilismo finanziario, subisca un processo di degrado irreversibile, fino al punto terminale del suicidio. Lo dice altrove lo stesso Cacciari: «La detronizzazione della politica o depoliticizzazione». In Cacciari tutto è sempre segnato fin dalle origini, dunque ne consegue che la politica sarebbe destinata al suicidio[1]. Cosa rimane, infatti, in questo contesto, della politica e della tradizione di un popolo? E ancora: cosa rimane della drammatica ricerca del Vero, del Bello e del Buono? Insomma, che ne è dei trascendentali che, tutti insieme, costituiscono le fondamenta naturali dell’esistenza e, dunque, di tutto ciò che lo Stato è chiamato non a produrre, ma a difendere? Perfino Hobbes aveva chiara coscienza di questa sottile, ma decisiva differenza tra il produrre i valori naturali e il difenderli attraverso la forza coercitiva del Leviatano. Al di là di questi elementi, rimane soltanto il potere per il potere: Lenin a New York. Lenin in Occidente. Il Leviatano diventa l’appendice di Stato e rivoluzione di Lenin. Lo Stato diventa, così, il «mostro freddo» di cui parlava Nietzsche. È, a ben guardare, anche quel modello di comando, quella machina machinarum dominante sui singoli, che tanto inquietava pensatrici assai diverse come Hanna Arendt, Ayn Rand e Maria Zambrano. Qui le radici ideologiche nichilistiche segnano il passaggio ad un disincanto estremo, collocato oltre i limiti, già di per sé mobili, del linguaggio moderno, capace di assimilare concetti ormai vaghissimi come i “diritti umani” e il “bene comune”. Ma questi concetti vengono svuotati di senso ontologico. Non corrispondono più a realtà determinate. Si struttura una procedura retorica raffinata capace di condurre al suicidio della ragione, perché sottrae a quest’ultima la cifra della lotta per la verità. In questa prospettiva da “ultimi giorni” della storia, non vi è più in campo, nella vicenda umana, la lotta della ragione, ma soltanto lo sbadiglio dell’ultimo incantesimo retorico. Il mondo finisce con uno sbadiglio generale, secondo la profezia poetica di Eliot. Puro nichilismo. Controprova: cos’è, infatti, il “bene comune” per Cacciari? Risposta: «Quel Bene che sempre manca, che mai potrà realizzarsi facendo deserto d’interessi diversi, di conflitti». È Carl Schmitt qui a dare le carte della partita ultima della ragion politica: la decisione si fonda sul nulla. Questa politica è la rappresentazione storica dell’Anticristo, un grande reazionario, come si è detto e ripetuto sopra, poiché azzera di netto l’uomo, con i suoi bisogni e la sua verità da ricercare, nella trama dei rapporti inter-individuali. Un fenomeno, questo, che si intreccia e concilia con la categoria di interesse, nel senso etimologico di inter-esse, essere parte fra le parti che costituiscono il tutto. E pensare che, in contrapposizione a questa gigantomachia nichilistica, la cristianità è, invece, la “vittoria della ragione” e l’affermazione della libertà[2].