Senza la fiducia delle Borse non si salva l’economia greca

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Senza la fiducia delle Borse non si salva l’economia greca

25 Luglio 2011

Citando il compianto Eduardo De Filippo potremmo dire che aveva “da passa’ ‘a nuttata”.  La notte è passata. Ma sembra non abbia portato consiglio. Anzi. Dopo l’euforica giornata di giovedì, nella quale i governanti dell’Eurozona avevano ricevuto il plauso sia da parte dei mercati che dei parlamenti dei singoli Paesi membri e dopo la sbronza conseguente all’annuncio del raggiunto accordo sul piano di salvataggio della Grecia e sulle misure a tutela della stabilità economica e finanziaria, nella giornata di venerdì l’Europa si è risvegliata con qualche mal di testa. E molti interrogativi a cui dare risposta, il più in fretta possibile.

Le fonti di preoccupazione risiedono principalmente nell’incertezza che i mercati finanziari – decisamente nervosi e poco inclini a concedere fiducia – hanno avvertito nelle righe dei primi comunicati stampa circa il prossimo futuro del carrozzone Europa. Posto infatti che i risultati prodotti dal vertice di giovedì sono stati ampiamente sopra le aspettative, tanto che pochi si attendevano un così forte segnale di coesione da parte dei membri dell’area Euro, è evidente che la situazione attuale non è risolvibile con semplici proclami – per quanto inattesi possano essere. Ora arriva la parte più difficile, vale a dire l’attuazione del disegno convenuto dal clan dei diciassette. E questo, gli investitori, l’hanno compreso molto bene.

Lo scetticismo più diffuso è ben riassunto da una delle domande che la maggior parte degli analisti si pone: ma, alla fine, quando tutto dovrà essere tradotto in denaro sonante, chi pagherà tutto questo?
La risposta, in realtà, non è tanto scontata quanto sembra. Infatti, benché sia ovvio che ogni Paese contribuirà al salvataggio del paese ellenico in misura proporzionale alla sua quota di partecipazione alle garanzie immesse nell’ormai famigerato veicolo di stabilità finanziaria (Efsf) creato ad hoc – tra l’altro, secondo le stime Eurostat, l’Italia contribuirà per quasi 15 miliardi di euro -, quello che resta abbastanza nebuloso è come, nella sostanza, questi soldi verranno trovati.

Rimanendo al caso delle nostre traballanti finanze, dopo la recente approvazione della manovra di aggiustamento dei conti per i prossimi quattro anni questa ulteriore salassata proprio non ci voleva. Se, d’altro canto, è pur vero che questo esborso è da considerare in un certo senso – per quanto rischioso – un investimento, è anche vero che in questo momento nessuno stato si può permettere di impersonare il ruolo di Pantalone. Tanto è vero che nemmeno ad Angela Merkel, cancelliere della virtuosa Germania, sono state risparmiate alcune critiche in merito alla direzione intrapresa. In poche parole la preoccupazione di molti risiede nel fatto che per salvare la Grecia – per la seconda volta e dopo aver già elargito aiutini a Portogallo e Irlanda – si rischia di mettere a repentaglio i conti di casa propria.

A questo aspetto, di per sé già abbastanza delicato, si è aggiunto il tanto decantato intervento del settore privato, che a ben vedere alla fine si traduce nella sottoscrizione di un piano di obbligazioni greche di nuova emissione da parte delle banche di mezza Europa. Benché anche in questa situazione l’operazione possa rappresentare un interessante fonte di guadagno da parte degli istituti di credito, è chiaro che la fiducia dei risparmiatori, non esattamente ai massimi storici, si tramuta molto facilmente in pragmatico realismo – per non dire pessimismo. Le banche hanno da poco superato – più o meno brillantemente – i tanto temuti stress test che ne hanno comprovato la solidità finanziaria, ma sono sempre più il principale bersaglio degli umori dei mercati  e questo non le rende certo estremamente propense a portarsi in casa un altro pezzo di titoli dissestati quali possono essere i certificati del debito greco.

In ultimo ad appesantire gli animi sui mercati venerdì si è aggiunto anche un altro preziosissimo intervento. Proviamo a pensarci. Quando una delicata situazione è in procinto di risolversi, chi in questi mesi ci ha abituato a sparate sensazionali? Ovviamente loro, le agenzie di rating. Fitch, infatti, con un tempismo degno del miglior teatrante, senza nemmeno attendere ulteriori incontri nei quali i governanti certamente definiranno le linee di dettaglio dell’accordo, ha dichiarato che quello approvato comunque non è un piano che eviterà un downgrade del rating sul debito greco. Ma attenzione, si sono premurati di specificare gli analisti dell’agenzia, non è detto che il nuovo giudizio perduri per molto tempo. È possibile che nel giro di qualche settimana la Grecia subisca un conseguente upgrade. Tradotto: noi ve la buttiamo lì, tanto per scompigliare un po’ le carte su questo delicatissimo tavolo. Tanto a pagare mica siamo noi, che, tra l’altro siamo americani.

È chiaro quindi che la strada che si prospetta al Consiglio Europeo potrà solo salire. Tradurre in realtà le decisioni prese sulla carta è un passo tutt’altro che semplice. Alcuni delicati aspetti devono essere definiti attentamente. Quello che dà coraggio è il fatto di avere una solida volontà comune e condivisa almeno sulla direzione da intraprendere. Ora bisognerà vedere come reagiranno i mercati lunedì, come e se avranno rielaborato e metabolizzato la manovra europea e come e se avranno recepito – e venerdì sembrava proprio fosse così – la stoccata sferrata dalle agenzie. In altre parole, è necessario verificare come e se gli investitori saranno in grado di dare quell’unico ingrediente segreto per dare quello sprint in più alla ricetta per salvare questa martoriata Europa: la fiducia.