Senza “posti fissi” non ci sarebbe l’eccellenza del Made in Italy

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Senza “posti fissi” non ci sarebbe l’eccellenza del Made in Italy

20 Ottobre 2009

Il Ministro Tremonti andando contro corrente ha fatto l’elogio del posto di lavoro fisso, sostenendo che esso ha un valore in sé per il nucleo familiare. E ha avuto un coro di consensi, non tutti coerenti, dai leader sindacali. Da Epifani della Cgil, Bonanni della Cisl, Angeletti della Uil, che si è spinto a sostenere (con una certa ragione) che egli parla come un iscritto alla Uil. Invece è intervenuto a dargli torto il professore di diritto del lavoro e senatore del partito democratico, Pietro Ichino, che ha sostenuto che il posto fisso nell’economia contemporanea è anacronistico.

Ora, io ritengo che, se non si vuole fraintende ciò che ha detto Tremonti, egli ha largamente ragione. Come è suo costume, ha un po’ estremizzato, questa sua tesi per darle maggior risalto. Ma sostanzialmente ha ragione. E il professor Ichino, invece, ha completamente torto.

Questa volta perciò, rivolto ai giuristi come Ichino mi permetto di dire “giuristi silete”, riprendendo, modificata, una frase detta e ripetuta spesso nel recente passato proprio da Giulio Tremonti contro gli economisti che non hanno saputo prevedere la grande crisi: “economisti silete”, fate silenzio economisti”. Infatti dico che Tremonti ha ragione sul valore del posto fisso sulla base di un teorema economico esposto da Cecil A. Pigou nel suoi libro di teoria dell’economia del benessere , celebre negli anni ’30-40, da cui trae origine l’economia teorica del benessere come autonoma disciplina scientifica.

Il teorema ha ampi precedenti in discussioni degli economisti classici riguardanti i contratti di affitto agricolo. E riveste una nuova importanza, per i contratti di lavoro, con gli sviluppi recenti della teoria del capitale umano, oltreché in rapporto alla tematica dei rapporti fra proprietari di rete e loro affittuari. Cioé in particolare fra  operatori pubblici che danno le loro opere in concessione a imprese, con il project financing, la finanza di progetto, e imprese concessionarie che costruiscono tali opere con la prospettiva di gestirle, con contratti BOT (“Build, Operate and Transfer”, cioé “costruisci l’opera, esercitala e al termine della concessione, la trasferirai  al suo proprietario che la ridarà in concessione attraverso una gara, con un tuo diritto di prelazione). Questi contratti non funzionerebbero se la concessione non fosse di lungo termine. L’economia dei grandi progetti ha bisogno di prospettive di lungo termine. Così l’economia del lavoro dipendente, in una società ove esso non è forza bruta, merce, ma lavoro intelligente e partecipato, ossia capitale umano.

Perché il lavoratore dovrebbe appassionarsi a ciò che fa e migliorarsi, perché dovrebbe identificarsi con la sua impresa, se pensa di poter essere licenziato a piacere, in cambio di una impersonale indennità? Se le nostre imprese del made in Italy vantano qualità preclare, se le nostre imprese di grandi opere vincono le gare internazionali è perché hanno dei quadri tecnici che fanno la differenza. Esse hanno interesse ad addestrare la propria forza lavoro, a migliorarla. Se possono, a fidelizzarla. E i lavoratori hanno interesse a investire nella propria formazione secondo le esigenze dell’ impresa in cui operano, se sanno che questo investimento a loro darà un frutto positivo proporzionato al costo umano che hanno sostenuto.

L’impresa tecnologica che produce beni e servizi di qualità con efficienza, ha bisogno di un suo personale qualificato, di un suo “capitale umano”. Anche per essa il posto fisso è un valore.

Come dice il teorema di Pigou, l’affittuario di un fondo agricolo con un contratto di locazione di breve durata non ha interesse a fare le migliorie perché non ottiene un adeguato rendimento dei suoi sforzi. Ha interesse a comportarsi con negligenza. L’economista Williamson (che ha avuto il premio Nobel qest’anno) direbbe “ha interesse a una condotta opportunistica”. In termini di teoria dei giochi, se il rapporto contrattuale è breve e incerto, il lavoratore e il datore di lavoro non hanno interesse a effettuare il “gioco di reciprocità” di mutuo vantaggio. Hanno interesse a tenere una condotta di reciproco opportunismo. Dal punto di vista del lavoratore che mette su una famiglia il posto fisso è certamente un grande valore. Ma è bene che egli se lo guadagni perché esso non è “un diritto”. I posti di lavoro non si creano per legge, ma con la produttività. Non esiste, neanche in questo campo,“il pasto gratis”.

Una impresa prima di assumere un lavoratore  a tempo indeterminato, può desiderare di conoscerlo nella attività sul campo. E una impresa edile che ha ottenuto una grossa commessa può desiderare di integrare i suoi lavoratori fissi, con lavoratori a termine per quella commessa. A questo punto bisogna chiarire che il contratto di lavoro flessibile non va confuso con il posto non fisso, che spregiativamente viene definito “precariato”, con una terminologia vetero marxista. Il contratto di lavoro part time, per una parte della giornata, non è necessariamente un contratto “precario”. Può essere a tempo indeterminato (il cosiddetto posto fisso per eccellenza) o a lungo termine, quindi fisso per molti anni. Analogamente il contratto di lavoro stagionale, può essere permanente, a medio o lungo termine e non meramente di una sola stagione. Quando il contratto di lavoro è permanente o a medio-lungo termine si configura come un posto fisso o semi fisso.

Il contratto a termine (che la Cgil odia perché non si presta alla irregimentazione dei lavoratori in un sindacato burocratico) è un ottimo strumento contrattuale. Ciò in quanto può essere di un numero variabile di anni e può essere rinnovabile fra le parti, dopo x anni, sulla base di clausole stabilite di comune accordo.

Un giovane o una giovane che studiano all’Università e sono “fuori sede” sono interessati a contratti part time, ad esempio nelle mense e nei bar o nelle biblioteche per pagarsi gli studi. Gli studenti sono generalmente interessati a prendere un lavoro che non è a medio termine perché hanno, per il dopo laurea, altri programmi. Una persona anziana, che è in pensione, può essere interessata a contratti brevi dato lo “scudo” della pensione. E vi sono anche i lavoratori autonomi e gli imprenditori che non hanno per definizione il “posto fisso” e che, fra l’altro, a volte lo integrano con brevi contratti di lavoro parasubordinato.

In linea generale in economia di mercato tutti i contratti di affitto ovvero locazione, compresi quelli di locazione di lavoro subordinato o parasubordinato, dovrebbero poter essere liberi. Bisognerebbe che le parti scegliessero liberamente quale contratto fare, sia a tempo indeterminato, che a tempo determinato con modalità variabili, a scelta delle parti. Ciò per dare a ciascuno la massima opportunità di opzione tanto sul versante delle imprese che cercano lavoratori quanto in quello di chi desidera un’occupazione.

Concludendo, chi ritiene che tutti i contratti di lavoro debbano essere basati sul principio per cui l’impresa può licenziare chiunque lo desideri, sbaglia. Ciò perché il contratto con posto fisso dà un valore in più, sia al lavoratore che alla impresa. Ma la nozione di posto fisso può configurarsi in vari modi. E sia le imprese che i lavoratori hanno interesse anche a contratti di breve termine. In economia di mercato essi sono complementari ai contratti fissi. Ma non li possono soppiantare.

Tremonti ha ragione non solo nel profilo dell’efficienza. Ha ragione anche nel profilo macro economico.  La cassa integrazione che non comporta il licenziamento a differenza della indennità di disoccupazione, ha una sua giustificazione profonda nella salvaguardi del legame fra lavoratore e impresa e nella sicurezza che ciò fornisce alle famiglie in periodo di crisi. Questo tipo di ammortizzatori sociale, dunque, preserva il capitale umano e genera sicurezza, non solo a livello individuale  ma anche a livello macro economico generale. E ciò ha un grande valore strutturale, per nazioni come l’Italia, povere di materie prime, che debbono basare il loro vantaggio competitivo nel capitale umano.