Senza una gestione responsabile non può esserci meritocrazia
04 Aprile 2008
La
meritocrazia è invocata quando le capacità riconosciute e vincenti non ci
piacciono. Anche coloro che compiono azioni biasimevoli offerte dalla
situazione in cui operano hanno la sfrontatezza di supplicarla. L’università è
il luogo dove trionfa questa ipocrisia.
Se
parenti e amici “speciali” di docenti (i baroni) prevalgono sempre e dovunque,
allora si grida allo scandalo e ci si appella al ripristino della meritocrazia
quale criterio di selezione. Questo grido non va soffocato, ma non sono
disposto a sostenerlo sottacendo la fonte dello scandalo.
La
mafia ha propri codici di comportamento che guidano, rafforzano e proteggono
l’organizzazione e sostengono le azioni criminali che vengono intraprese. Gli
atenei hanno i loro codici – gli statuti – e le risorse finanziarie messe a
disposizione principalmente dallo Stato.
L’autonomia
universitaria iniziata dal ministro Antonio Ruberti e completata dal ministro
Luigi Berlinguer come altresì la scrittura e riscrittura (nel rispetto di
principi stabiliti dalle leggi dello Stato) degli statuti degli atenei hanno
delineato il contesto in cui operano gli organi universitari che hanno
responsabilità di governo. L’architettura istituzionale che si è andata così
delineando – una gestione basata su strutture assembleari – si caratterizza per
l’affermazione di un principio di irresponsabilità diffusa a tutti i livelli di
governo che con coerenza conduce al saccheggio delle risorse finanziarie che di
volta in volta si rendono disponibili. Anzi, il saccheggio può estendersi anche
su risorse future, come risulta dai numerosi bilanci in rosso degli atenei.
Dissesti
finanziari e comportamenti che giudichiamo tutt’altro che virtuosi, sono il
frutto dell’assetto istituzionale proprio degli atenei. Dei danni prodotti e di
cui ci lamentiamo da tempo non è dato individuare i responsabili e, comunque,
anche trovandoli non è possibile chiamarli a render conto del proprio operato.
In
questo contesto non è difficile elencare i mali che affliggono l’università.
Molto più impegnativa risulta l’elencazione degli obiettivi da perseguire (o da
recuperare) come il decalogo proposto da Gaetano Quagliariello. Indispensabile e
ineludibile diviene, però, la definizione del modello di governo da conferire
agli atenei affinché le finalità proposte siano perseguibili.
Le
maestranze dell’università non sembrano propense a fronteggiare i cambiamenti
necessari per adeguare il funzionamento degli atenei alle responsabilità
connesse con l’autonomia ottenuta e (non sorprendentemente) mal gestita. Ma
l’università è una struttura fondamentale per la vita, lo sviluppo e la cultura
di un paese. Se i propositi di cambiamento sono sinceri, elaborare e proporre
un nuovo modello di governo è dunque inevitabile. Si tratta di una questione
fondamentale per il nostro paese, da affrontare con coraggio evitando di
mendicare il consenso di chi lavora negli atenei.