Si può dire “no” al protezionismo e nazionalizzare le banche?

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Si può dire “no” al protezionismo e nazionalizzare le banche?

20 Febbraio 2009

 

Caro direttore, è davvero possibile dire no al protezionismo, e contemporaneamente contemplare la possibilità di nazionalizzare le banche? Ancora una volta, Silvio Berlusconi sembrerebbe riuscire in una piroetta se non fosse che, a legger bene le sue dichiarazioni, più che da capo di governo egli sembra parlare da osservare informato.

Il no al protezionismo è sulle labbra di tutti i leader del mondo libero – apparentemente consapevoli che una guerra doganale globale farebbe solo male ai rispettivi elettori. La nazionalizzazione delle banche è un’opzione sul piatto in Paesi in cui la situazione del credito è più drammatica che in Italia, e la finanza pubblica è invece più sana.

Statalizzare gli istituti di credito è effettivamente una strada praticabile? Chi lo sostiene pensa che stiamo vivendo un’emorragia di fiducia, che va assolutamente tamponata. L’intervento diretto dello Stato potrebbe servire allo scopo.

E’ davvero così? Non si capisce bene perché la proprietà pubblica dovrebbe risolvere i problemi delle banche. Per tutta una serie di motivi, esse si trovano nella condizione di avere bisogno di capitale. Hanno operato con troppa leva, hanno fatto ricorso a modelli di gestione del rischio i cui postulati ora traballano. Ma banche pubbliche avrebbero fatto meglio? In Germania, dove l’universo del credito è in buona misura ancora statale, il controllo governativo non si è accompagnato ad un gestione più virtuosa. Né si capisce perché dovrebbe essere così altrove.

Prendiamo una misura-simbolo. Obama ha introdotto un tetto allo stipendio dei manager delle imprese che percepiranno aiuti pubblici. L’idea è quella di punire gestori che hanno condotto le proprie imprese sul ciglio del disastro. Punirli è certamente desiderabile, ma limitando la loro retribuzione si mettono le aziende in questione, in condizione di non poterli cambiare. Ristrutturare un’impresa è un mestiere difficile, per cui servono grandi competenze. Le grandi competenze vanno dove vengono remunerate al meglio. Un "cap" agli stipendi costringe a raccogliere sul mercato chi si accontenta. Che non necessariamente è il migliore, per l’arduo compito in questione.

Criteri del genere, comprensibilissimi in virtù del fatto che il "salvatore" pubblico deve fare ingollare i salvataggi ai propri elettori, farebbero o faranno bene al sistema bancario?

L’alternativa liberista – lasciare fallire le banche – è impraticabile, perché incapace di rassicurare elettori spaesati e in preda a mille preoccupazioni. Però è un’alternativa chiara, comprensibile, coerente, logica. Negli scorsi mesi, i decisori hanno ragionato seguendo un solo principio: qualsiasi cosa, pur di restaurare la fiducia. Dando fondo alle opzioni più disparate, la fiducia non è tornata. Possiamo permetterci di perseverare, fingendo che il crescente intervento pubblico abbia dato segnali incoraggianti?