Si “rassegnino” gli Stark e i Profumo: il debito pubblico italiano sarà onorato
13 Settembre 2011
La tempesta finanziaria che ha investito le borse dell’euro zona è collegata alla crisi della Grecia, alle incertezze sulla situazione delle banche francesi, alle dimissioni del membro tedesco del comitato direttivo della Bce e capo dell’Ufficio studi, Jurgen Stark, che dissente dalla politica di questa di acquisto di titoli pubblici degli stati membri con difficoltà debitorie. Lo spread fra i nostri Bpt e il Bund tedeschi è tornato sopra 380 punti, nonostante la speditezza con cui la Commissione bilancio della Camera ha approvato la manovra di finanza pubblica che dovrà portare al pareggio del bilancio nel 2013. E’ estremamente probabile che essa sarà approvata entro mercoledì. Ma ciò non basterà a placare lo spread fra i nostri tioli e quelli tedeschi, rispetto ai livelli attuali, salvo nella ipotesi non probabile che la Bce ne faccia acquisti massicci, anziché moderati e dosati nel tempo. Comunque il livello di questo spread è sostenibile, anche se sarebbe desiderabile che esso scendesse sotto i 300 punti. Oramai c’è un eccesso di offerta di debito pubblico al di qua e al di là dell’atlantico rispetto alla domanda da parte del sistema bancario, dei fondi di investimento, degli altri intermediari finanziari e dei portafogli dei risparmiatori.
La percezione di un rischio di crisi induce molti operatori a tenersi liquidi e ciò esaspera lo squilibrio fra domanda ed offerta e fa salire i rendimenti richiesti per i titoli dei paesi con elevati volumi di debito da collocare sul mercato. Fra questi rientra l’Italia non tanto per le nuove emissioni che si vanno riducendo, man mano che il deficit di bilancio si riduce, quanto per il rimpiazzo dei titoli in scadenza, che sfiora i 250 miliardi annui, al lordo di quelli degli enti locali e delle regioni, una cifra imponente. Il 40 per cento dei nostri titoli pubblici è acquistato da soggetti esteri, il 60 per cento da italiani. Le difficoltà attuali derivano dalla eccessiva internazionalizzazione del nostro debito pubblico, che in passato veniva collocato senza difficoltà, con una domanda che eccedeva l’offerta, perché nelle uro zona non c’era la concorrenza del debito spagnolo e francese e fuori dall’euro zona non c’era un massiccio debito inglese e, soprattutto non c’era una enorme montagna di debito degli Usa. Sin qui le difficoltà oggettive. Ma occorre aggiungere che ad esse si sono aggiunti i fattori di allarmismo, che nascono da ragioni strumentali e da ambizioni politiche, come quelle di Alessandro Profumo, che vorrebbe assumere un ruolo di leader, in un governo tecnico o di larga intesa e che a tal fine ha dichiarato che l’Italia è sull’orlo del baratro e che serve una patrimoniale di 400 miliardi.
Paradossalmente questa drammatizzazione ha danneggiato solo in parte il nostro debito pubblico, la cui credibilità è rafforzata dalla manovra che il Senato ha approvato e la Camera sta oramai per approvare, senza emendamenti. Il titolo che ha più risentito il danno di questo allarmismo è quello di Unicredit, che ha avuto, in borsa, lunedì un autentico tracollo. Se siamo sull’orlo del precipizio, ciò vuol dire che lo è anche la banca che è maggiormente a rischio a causa del rapporto fra i suoi parametri patrimoniali e le sue esposizioni. E la borsa ne tiene conto. Profumo, che ha guidato Unicredit sino a pochi mesi fa, dovrebbe rassicurare gli italiani e soprattutto gli ambienti internazionali sulla solidità della nostra economia, anziché fare lo sfascista. Perché Profumo ha fatto comprare Capitalia a Unicredit nel maggio 2007, pagando un elevato avviamento se l’Italia aveva un elevato debito pubblico, che poteva fare temere che essa diventasse insolvente? Non è che Capitalia avesse una situazione finanziaria brillante quando l’acquisto è avvenuto. E perché quando è venuta la crisi non si è preoccupato di rafforzare il patrimonio di Unicredit, se temeva che l’Italia si avvicinasse all’orlo del burrone? Il bilancio italiano due anni fa era messo peggio di quello attuale, né vi era un governo diverso da quello attuale. Ma non è affatto vero che l’Italia è sull’orlo del burrone. Ha un risparmio privato molto superiore al debito pubblico e la somma algebrica fra il nostro risparmio privato e il nostro debito non ci pone fra gli stati messi peggio, ma fra quelli messi meglio.
Certo, se si crea un clima psicologico negativo, facendo supporre che a situazione sia drammatica, ciò non aiuta né a ridurre lo spread dei nostri titoli pubblici né a migliorare le quotazioni di UniCredit. Il Financial Times che non è mai tenero con l’Italia giudica come una nota positiva, in un quadro generale sfavorevole, il fatto che l’Italia stia approvando la manovra che porta a un minimo il deficit nel 2012 e al pareggio nel 2013. Questo giornale ha anche spiegato, in un editoriale, che contrariamente a quanto afferma Jurgen Stark, la Bce comprando titoli pubblici degli Stati dell’euro zona, in questo periodo, non deroga al suo statuto e non monetizza il debito pubblico generando inflazione. Essa facendo le operazioni in questione ha evitato una deflazione, derivante dalla caduta eccessiva dei corsi del debito spagnolo ed italiano, che avrebbe causato la riduzione dei parametri patrimoniali di soggetti che li posseggono e quindi ridotto il credito e la velocità di circolazione della moneta. Ed ha evitato le brusche fluttuazioni del cambio dell’euro che potevano derivare da tali fenomeni. Poiché la Bce ha il compito di perseguire la stabilità monetaria e quindi anche di evitare la destabilizzazione del cambio, essa ha agito e sta agendo nell’ambito delle sue funzioni istituzionali. Ovviamente, essa non può acquistare titoli di Stati insolventi e pertanto chiede all’Italia di pareggiare il bilancio nel 2013 e alla Spagna, che ha un rapporto debito/Pil minore, di farlo entro pochi anni.
E’ tanto vero che questi suoi interventi non stanno generando inflazione, che essa ha rinunciato all’aumento di tasso che aveva preannunciato in primavera. E del resto quando la politica fiscale è restrittiva, cioè riduce i deficit di bilancio, occorre una politica monetaria permissiva per contrastare l’effetto deflazionista delle manovre fiscali. La tendenza generale al rallentamento economico nell’euro zona mostra che Jurgen Stark, che pure capeggiava l’Ufficio studi della Bce, non aveva capito che la Bce sta agendo correttamente e prudentemente contro i rischi di deflazione . E con l’annuncio plateale delle sue dimissioni a borsa aperta, in palese polemica con il presudente della Bce e con il cancelliere Angela Merkel, ha dato il suo contributo sfascista alla destabilizzazione dell’euro zona. Non c’è da meravigliarsi se, fra tante sparatorie sui pianisti, le borse cadono. Chi semina vento raccoglie tempesta a proprio danno . Fortunatamente, però, questo emergere di personaggi improbabili fa capire che, per fortuna, abbiamo un governo democratico, che non è la cosa migliore del mondo in assoluto, ma la migliore di quelle possibili , perché ha la linea giusta, che è oggettivamente quella di centro destra, ha la maggioranza e sta andando, pur fra tentennamenti, sulla rotta giusta. Il debito italiano è stato sempre onorato e lo sarà ancora e i risparmiatori hanno ottime ragioni per comprare il nostro debito pubblico, nonostante Jurgen Stark e Alessandro Profumo.