Siamo sicuri di voler ancora finanziare “questo” Stato?

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Siamo sicuri di voler ancora finanziare “questo” Stato?

18 Agosto 2007

«Ma quali evasori! Noi siamo la prima linea della protesta fiscale. Questa non è più America, è comunismo al cento per cento…». Così parlò Mr Brown, asserragliato in casa con la moglie ormai da più di due mesi e tenuto d’occhio dall’FBI. Mr Brown si rifiuta di pagare una multa al fisco per non aver presentato la dichiarazione dei redditi già dal 1996. I signori Brown sembrano non essere soli, sono quasi già 500.000 i casi di tax protestors negli Stati Uniti.

Non conosciamo nel dettaglio il file  fiscale della famiglia Brown e tendiamo a pensare che il fisco a stelle e strisce abbia sicuramente più di una ragione tecnica nel multare questo nucleo famigliare di Plainfield, nel New Hampsire. Ma nonostante questo a noi Mr e Ms Brown stanno simpatici.

«Questa non è più l’America, è comunismo al cento per cento…» è una frase che nella sua, se vogliamo, grossolanità, esprime tutta la radice del problema: il sogno americano, l’opportunità per ogni individuo di ricercare la propria felicità contrapposta all’oppressione dello stato padrone, divoratore, come una bestia affamata.

Il problema è forse ancor più di scottante attualità in Italia. Se nel New Hampsire sono arrivati i cosacchi, figuriamoci nel nostro Paese, dal quale i cosacchi non se ne sono mai andati, pur avendo cambiato più volte nome ed essendoci addirittura qualcuno che li vuole rifondare.

Le recenti dichiarazioni di Umberto Bossi che propone lo sciopero fiscale, hanno scatenato una canea di reazioni, tutte fortemente contrarie, con qualche timido e solo sospirato cenno di consenso. Tutti, ci mancherebbe altro, attenti al politically correct.

La dichiarazione più forte è venuta da un esponente di centro-destra (?), l’inneffabile On. Buttiglione che ha detto «E’ una follia. Sarebbe la dissoluzione dello Stato» E allora? Dove sta il problema?

Siamo sicuri di voler ancora finanziare questo Stato. Un pozzo senza fondo che ingoia irrimediabilmente le tasse pagate dai cittadini per foraggiare corporazioni, caste, rendite di posizione e scranni al Parlamento.

Vogliamo veramente finanziare uno stato che ti costringe ad aspettare sei mesi per per fare una TAC o una biopsia, che ti porta a morire nomade in un’ambulanza perché più di un ospedale ha rifiutato il tuo ricovero, ospedali popolati da ratti, con sale d’aspetto dei pronto soccorso che sembrano ogni giorno una stazione ferroviaria durante l’esodo estivo.

Vogliamo veramente finanziare uno stato che permette a chi opera nei suoi uffici di stare a casa in media fino a settanta giorni all’anno, di non essere sottoposto a nessun genere di controllo e comunque di ottenere per decreto aumenti di stipendio che negli ultimi sette anni sono stati più del doppio del settore privato.

Vogliamo veramente finanziare uno stato che costringe intere popolazioni a vivere tra i fumi della diossina prodotta da cumuli infiniti di spazzatura, uno stato nel quale ragazzi muoiono a frotte alla guida dei loro scooter per le buche sull’asflato mentre risuonano le musiche della notti bianche, uno stato dove ancora si muore regolarmente in estate per incendi dolosi nei boschi nonostante gli operatori forestali siano ormai più numerosi degli arbusti che devono tutelare.

Vogliamo veramente finanziare uno stato che non riesce neanche più a pagare il carburante delle macchine delle forze di polizia, che con stipendi da fame rischiano da un lato di ritrovarsi in galera per aver insegnato l’educazione a teppisti incappucciati e dall’altro raccolgono sull’asfalto le vittime di uno spacciatore extracomunitario, appena scarcerato, ubriaco e senza patente,  al volante di un’auto rubata.

Vogliamo veramente finanziare uno stato che non ci permette di scegliere la scuola che ciascuno di noi ritiene migliore per i nostri figli, costringendoli poi a cambiare quattro volte professore d’italiano in un anno.

Vogliamo veramente finanziare uno stato che permette a qualunque gruppuscolo rappresentante di non si sa quali interessi particolari, di bloccare servizi pubblici o nuove infrastrutture, obbligando il cittadino medio a duelli rusticani per raggiungere le proprie famiglie o i posti di lavoro. 

Vogliamo veramente finanziare uno stato che alle imprese tassa anche il lavoro (IRAP), ma poi non è in grado di fornire loro infrastrutture, energia a buon mercato, sicurezza, libertà di operare.

Insomma, una bestia affamata che ogni anno in media si prende quasi la metà di quello che guadagnamo, per nutrire se stessa e i propri interessi, senza pensare ai bisogni minimi dei cittadini.

Chi provoca con la richiesta dello sciopero fiscale, non è un pericoloso delinquente egoista ignaro delle responsabilità che ogni cittadino ha verso la società in cui vive, non ultima quella di contribuire a garantirne il funzionamento anche per chi non è in grado di farlo. Chi parla di sciopero fiscale chiede solo uno stato minimo, che garantisca sicurezza e difesa (e per questo venga sostentato), ma che lasci al cittadino, o al nuclieo sociale minimo necessario, la possibilità di organizzarsi al meglio, tenendo fermi solo tre principi: l’efficienza, l’eguaglianza delle opportunità e la competizione.

Riprendiamoci la nostra libertà. Affamiamo la bestia!