Sicilia: falsi miti e fallimenti dell’isola dimenticata

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Sicilia: falsi miti e fallimenti dell’isola dimenticata

30 Dicembre 2007

Un quadro che più fosco forse non si potrebbe. Al centro
della scena la Sicilia, sotto i ferri il suo capoluogo, descritti l’uno e
l’altro come in uno stadio preagonico, fra stagnazione e fallimento. A parlare
Salvatore Butera, storico economico, pubblicista, ex presidente della
Fondazione del Banco di Sicilia, ex consigliere di Piersanti Mattarella ai
tempi in cui il giovane politico diccì, ucciso da Cosa nostra, guidava il
governo regionale.

Le amare considerazioni di Butera sono contenute in un libricino
dal titolo emblematico di La città
sconosciuta
, dove attraverso una seri di pezzi e saggi brevi l’economista
fa un punto sullo stato dell’opera a sessant’anni dalla nascita (datano aprile
1947 le prime elezioni) dell’autonomia regionale e dello statuto speciale. Di autonomia,
a suo avviso, si può palare al massimo per una “decina d’anni fino alla legge
istitutiva della Sofis (1957) e più avanti, sul finire del 1958 (anno fatidico
per la Sicilia: l’uscita del Gattopardo e l’omicidio Navarra a Corleone), fino all’episodio
milazziano che chiude tristemente e nel modo peggiore la vicenda politica
dell’Autonomia regionale”. Effettivamente il 1958 è anno saliente. Per
l’occasione si fanno largo i corleonesi dopo l’ammazzatina rituale del vecchio
boss, appunto il dottor Navarra, e sempre di quell’anno di grazia è il
tentativo di mettere lo scudocrociato fuori gioco dando vita a una maggioranza
anomala, dai missini al piccì, che governicchia per meno di un biennio per poi
implodere miseramente. A  quel punto non
resta che rifugiarsi nel sicilianismo. Ovvero l’idea, “logora e frustra”, di
un’isola “sempiterna vittima innocente di congiure da parte del Nord  predatore”. Visuale e  vizio “costantemente presente” e che
“costantemente” ripropongono tutti “coloro i quali continuano a chiedere
risorse aggiuntive per la Sicilia da gettare nel pozzo  senza fondo dello spreco e
dell’inefficienza”.

Fissata la cornice, ciò che segue ha le tinte grigio-scure
di un’infilata di occasioni mancate. A cominciare dal buco industrializzazione,
vedi esperienza Svimez: oggi sono semplicemente un pallido ricordo le
aspettative di svolta modernizzatrice che questa Associazione per lo sviluppo
dell’industria nel Mezzogiorno
aveva suscitato, nei suoi anni fondativi, oltre lo Stretto. Quindi niente
industria, pochissima classe dirigente, quanto all’opinione pubblica “praticamente
inesistente”. Bilancio: molti, spesso ingannevoli, miti accanto a  una realtà di degrado, via via più accentuato.

Su Palermo, poi, Butera è particolarmente caustico, in una
parola la definisce “marginale”.

In realtà, l’autore sottolinea con molta insistenza una
caduta generale di tensione verso ciò che capita in Trinacria. “Oggi”, osserva
Butera, “sostanzialmente l’isola non interessa, 
ma quel che è più paradossale è che la Sicilia non interessa ai
siciliani”. Insomma una stato di quasi cronica estraneità, un tirare a campare,
un mettersi fra parentesi.

Una crisi circa permanente e di cui non si vedono soluzioni
o uscite, a breve, potabili. E’ l’involucro autonomia che è andato a ramengo. E
che soprattutto non pare oramai emendabile. “Un’esperienza nata male” (per
risarcire l’isola dal fallito separatismo e dai suoi antichi ritardi), ma
soprattutto “condotta peggio”. Così, almeno, conclude senza appello Butera, da
mettere “a nudo la totale incapacità dei siciliani di governare se stessi e il
proprio sviluppo”. Una debacle ancora più chiara e netta se si pensa alle
autonomie speciali di altre aree del paese “tutte perfettamente funzionanti”.

Salvatore Butera, La
città scono
sciuta, Kalòs, pagine 140, euro 12,00.