Sicurezza e difesa: quale strategia per gli USA nel mondo post-unipolare?
07 Novembre 2009
Difesa Usa
Lo straordinario impegno militare degli Stati Uniti nel mondo ci ricorda sempre una verità fondamentale: l’America è, nonostante tutto, il garante ultimo dell’ordine mondiale, il produttore di sicurezza che tutti gli stati, e in modo particolare noi europei, consumiamo. Per questo merita particolare attenzione il dibattito sulla sua politica estera e di sicurezza che sta avvenendo sulle pagine e sui siti specializzati americani.
A dare inizio, un lungo saggio di Andrew F. Krepinevich Jr., analista militare autore di un celebre libro sul Vietnam “The Army and Vietnam” (qui riportato un capitolo) dove sosteneva che gli Stati Uniti entrarono in guerra impreparati a combattere una guerra di contro insorgenza perché credevano di stare affrontando una propaggine dell’Armata rossa. (Idea vera solo in parte. E’ vero che gli americani credevano di avere di fronte degli esecutori degli ordini di Mosca, è vero che vedevano il mondo comunista come qualcosa di unitario e monolitico, è anche vero che vedevano il pericolo del Vietnam del Nord, e non dei vietcong, sul modello coreano, ma avevano ben studiato la guerra rivoluzionaria di stampo maoista e che erano stati a fianco dei francesi fin dai tempi dell’Indocina. Forse erano più preparati allora alle guerre di contro insorgenza che alla caduta di Saddam).
In questo suo recente saggio su Foreign Affairs circa il futuro della difesa americana, Krepinevich afferma che Washington deve ridisegnare un nuovo quadro strategico all’altezza delle sfide contemporanee, perché il vantaggio competitivo in termini di sicurezza degli US A, che assicurava loro “il dominio globale“, si sta consumando. La supremazia militare garantiva agli Stati Uniti l’accesso alle materie prime, assicurava la salvaguardia della patria e permetteva di fornire la sicurezza globale. Supremazia tecnologica e logistica, sistemi d’arma all’avanguardia, una capacità di proiezione unica, un sistema di basi intorno al mondo e una rete di alleanze militari diffuse rappresentavano i pilastri che reggevano tutto l’edificio. L’obiettivo, fino alla conclusione della guerra fredda, si stagliava chiaro e netto. Contenere la potenza sovietica, scoraggiare un’eventuale aggressione, costruire un’economia americana forte e stabile, garantire la libertà di mercato per tutto il mondo, rassicurare gli stati amici. Questa era la cornice strategica disegnata da Truman e Eisenhower. Ma dalla caduta del muro ad oggi, complice l’11 settembre, gli Stati Uniti sono passati dall’illusione di un mondo unipolare alla necessità di fronteggiare nemici sconosciuti come il fondamentalismo islamico, gli stati falliti, le guerre asimmetriche, mentre nuove potenze mondiali, come la Cina, e sfidanti regionali agguerriti e “intelligenti”, si pensi all’Iran, emergono con forza.
A stupire non è certo l’analisi delle capacità belliche della Cina, ma il risultato di un’esercitazione condotta nel 2002, “Millennium Challenge 2002”, che simulava l’attacco ad uno stato del Golfo Persico, di certo l’Iran, dotato di armi HT, di una buona logistica, determinazione, e di una strategia simili a quella che lo stato maggiore di Teheran sta elaborando (sistemi anti missile mobili, sottomarini veloci e piccoli, sciami di barchini anti nave ecc.). “Le forze ‘iraniane’, comandate dal Generale dei marines Paul Van Riper, si sono battute con successo contro le forze USA in ogni scontro”. Dato di fatto che lede la indiscussa capacità di proiezione americana in tutte le aree del mondo.
Ma alle nuove difficoltà strategiche devono essere aggiunto anche il declino degli USA come super potenza economica produttrice di ricchezza. La crisi economica, il debito estero, la crescente debolezza del dollaro sono segnali inquietanti di cui bisogna tener conto per elaborare una nuova dottrina strategica all’altezza delle sfide attuali.
La soluzione avanzata da Krepinevich è che gli interventi in Iraq e Afghanistan devono rimanere un’eccezione e infatti il titolo del saggio è eloquente: The Pentagon’s Wasting Assets. “Tutto questo suggerisce che gli Stati Uniti devono perseguire una strategia più modesta di quella avanzata da Bush all’indomani dell’11 settembre – una che rifletta un bilanciamento migliore tra scopi e risorse”. Insomma l’America deve sviluppare un “approccio indiretto verso le aree di instabilità nel mondo in via di sviluppo” – leggi Iraq e Afghanistan – “conservando il nocciolo delle risorse per affrontare altre priorità strategiche”, anche vista la tendenza degli alleati europei e del Giappone a non aprire il loro portafoglio per la difesa pur di non intaccare la spesa sociale.
Contro questa conclusione si scaglia Thomas Donnelly, studioso dell’American Enterprise Institute. “L’ idea centrale di Krepinevich è che, dopo il collasso dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti dovrebbero concentrarsi sulla deterrenza di una grande potenza competitrice, con mezzi diversi dal fattore umano quali sistemi d’arma high-tech, forze speciali ecc. (Quindi), investire in tecnologia (in modo particolare per strike di lungo raggio), evitare impegni di forze terrestri (specialmente in conflitti di lunga durata contro forze irregolari) e riformulare una strategia alla luce di mezzi limitati (piuttosto che aumentare le spese)”. Ed ecco la conclusione caustica dell’analista dell’AEI, “questo approccio è stato provato, ma ha fallito”.
Anche Michele Flournoy, sottosegretario alla Difesa, presenta una riflessione puntuale sulle nuove sfide strategiche. “La recente esperienza di guerra americana, combinata con intuizioni derivate da altri conflitti contemporanei, suggerisce che gli Stati Uniti andranno a confrontarsi con tre tipi di sfide: tensioni crescenti per l’approvvigionamento delle materie prime, minacce ibride che utilizzano metodi regolari e irregolari, e il problema degli stati deboli e falliti”. Quello che però è necessario per gli USA è ridisegnare una grande politica del post guerra fredda individuando una visione e degli obiettivi condivisi da tutte le nazioni di buona volontà.
Nel frattempo, Obama ha firmato il National Defense Authorization Act per l’anno fiscale 2010 attraverso cui vengono stanziati 550 miliardi alle normali funzioni e altri 130 miliardi a finanziare le operazioni in Iraq e Afghanistan.
Islam
A volte sembrano incredibili alle nostre orecchie i comunicati di Al Qaida, ben più estranei alla nostra capacità di comprensione delle deliranti affermazioni delle BR degli anni Settanta e Ottanta. Eppure sono veri, come reale il progetto, per noi pura fantasia, della possibilità di rinascita di un nuovo califfato che comprenda anche l’Europa e alla penetrazione della legge islamica, non solo della religione dell’Islam, in America. L’organizzazione islamica Hizb ut-Tahrir (HT) ha tenuto la sua prima conferenza sul Khilafah (parola araba per “califfato”) negli Stati Uniti il 19 luglio scorso all’Hotel Hilton a Oak Lawn, Illinois a cui hanno partecipato circa 400 persone. La conferenza dal titolo “Caduta del capitalismo e nascita dell’Islam” ha patrocinato la causa della propagazione del sistema finanziario islamico e le tappe per stabilire il califfato islamico globale.