Siria, un altro weekend di paura

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Siria, un altro weekend di paura

05 Settembre 2011

Lo scorso venerdì, il primo di preghiera dopo il Ramadan, è stato il ventisettesimo venerdì di scontri per il popolo siriano. Le proteste anti-regime hanno infatti riempito le strade delle principali città , e le forze di polizia fedeli ad Assad, secondo quanto riferito da residenti e attivisti, hanno aperto il fuoco a Irbin e Hamouriya, sobborghi di Damasco, nella provincia tribale orientale di Deir al-Zor, e ad Homs. Secondo fonti anti-regime, Internet, elettricità e comunicazioni telefoniche sono interrotte nella regione di Hama e in quella di Daraa.

"Morte piuttosto che umiliazione", hanno gridato i manifestanti a Kfra Zita secondo un video pubblicato su YouTube da alcuni residenti. Queste parole sono il chiaro segnale del fatto che il popolo non ha intenzione di smorzare le proteste e, nonostante le violenze subite da più di 5 mesi, non vuole  arrendersi. Negli scontri di venerdì pare siano rimasti uccisi almeno 7 civili. La dura repressione operata dal regime di Assad sta sconfinando sempre più in atti di ferocia pura. Amnesty International infatti ha parlato di “crimini contro l’umanità” proprio in riferimento alle crudeli pratiche operate dalla polizia nei confronti della gente che protesta pacificamente. Si parla, secondo l’elenco redatto da Amnesty, di 1800 persone uccise, più 88 decessi avvenuti in prigione dall’inizio delle proteste.

Tra i morti si annoverano, sempre secondo fonti di Amnesty, anche alcuni minorenni, il che ci dà la misura della gravità della situazione. Nonostante le riforme annunciate da Assad, e le speranze di far rientrare la crisi, le cose nel corso dei mesi si sono complicate sempre di più. È notizia degli scorsi giorni che i 27 membri dell’Unione Europea  hanno concordato in via definitiva un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Siria che, per la prima volta, impone l’embargo contro il petrolio. Le nuove misure includono anche sanzioni contro quattro personalità, legate al regime siriano, e tre nuove entità che si aggiungono alla lista di 50 nomi contro i quali è già in vigore il congelamento dei beni e dei visti di ingresso nella Ue. «Sulla Siria, stiamo agendo attraverso il rafforzamento della nostra pressione politica ed economica», ha detto l’alto rappresentante della Ue Catherine Ashton. «Vogliano che la situazione si evolva».

La Ue ha vietato dunque agli europei di fare affari sia con i funzionari siriani, che con istituzioni governative e società dell’esercito. La decisione di applicare l’embargo, che impedisce di esportare petrolio e gas siriani, non può certo sorprendere considerando che in questi mesi gli Stati europei hanno sempre condannato con forza le violenze operate dal regime di Assad, e le condanne si sono inasprite ancor di più dopo l’assalto alle ambasciate di Francia e Stati uniti dello scorso Luglio.
È lo stesso popolo siriano tuttavia ad invocare un maggiore interesse della comunità internazionale e delle Nazioni Unite. Come dargli torto, considerando quante vite dal mese di Marzo, sono state spezzate solo per aver richiesto in modo pacifico e civile, qualche diritto e libertà in più.

Anche per le Nazioni Unite non è facile gestire la situazione siriana. Ricordiamo infatti che a fine Agosto è stata preparata una bozza della risoluzione Onu che pur non richiedendo esplicitamente il ricorso al Tribunale Penale Internazionale, includeva sanzioni per 20 persone – tra cui il presidente Bashar al Assad – e quattro entità siriane ritenute responsabili delle violenze contro la popolazione.

Russia e Cina però si sono fortemente opposte all’idea di adottare una risoluzione che imponga sanzioni alla Siria. Dunque fino a quando non si troverà un accordo tra i membri dell’Onu, sarà molto difficile non limitarsi a discorsi di semplice condanna, e passare seriamente all’azione.