Smemorati e misteri. Tutti gli elementi di una storia di successo

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Smemorati e misteri. Tutti gli elementi di una storia di successo

29 Marzo 2009

Esce in edizione economica, in concomitanza quasi perfetta con lo sceneggiato televisivo che vi si ispira, il libro di Lina Roscioni “Lo smemorato di Collegno”, pubblicato per la prima volta da Einaudi due anni fa. Il libro ricostruisce, utilizzando ampiamente lo stile narrativo e basandosi su una consultazione attenta delle fonti disponibili, la vicenda di un uomo ritrovato dieci anni dopo la fine della prima guerra mondiale completamente privo di memoria.

L’Italia, all’epoca, era piena di famiglie private del capofamiglia, del figlio maschio, di un fratello: risultavano ufficialmente dispersi. Lo sconosciuto viene conteso per anni tra due donne che lo riconoscono entrambe come il marito scomparso. La vicenda passa per innumerevoli tribunali e giudizi, memorie del protagonista e libri di esperti, appassiona moltissimo l’opinione pubblica, che si divide fra pro-Canella e pro-Bruneri, ispira copertine e titoli di riviste come “La Domenica del Corriere”. A un certo punto anche il fascismo e la Chiesa entrano nella vicenda, attraverso la partecipazione di Roberto Farinacci alla difesa della famiglia Canella e l’opposizione all’identificazione dello sconosciuto con Canella a opera di padre Agostino Gemelli e altri ambienti in vista del mondo cattolico. L’autrice ha rintracciato le veline di Mussolini alla stampa, in cui si chiedeva di abbassare i toni, e gli interventi del Papato per ottenere analogo effetto nella stampa cattolica.

Evidentemente la storia ha qualcosa che attrae il pubblico: il libro di Roscioni su un caso di grande successo fra il pubblico è stato ancora una volta, oggi, un successo. Sicuramente è ben scritto, ma vi sono libri ben scritti ai quali non arridono la fama né recensioni benevole di Pietro Citati su “La Repubblica”. Fra l’altro, il contesto nel quale si colloca la vicenda è quello del positivismo italiano dell’epoca, e il positivismo – come si sa – non ha mai goduto nel nostro Paese di buona stampa. Forse è piuttosto la forma biografica, scelta dall’autrice, a calamitare l’attenzione oggi, così come all’epoca dei fatti il caso attrasse l’interesse e provocò la partecipazione del pubblico perché parlava di esseri umani in carne e ossa, soldati e professionisti e mogli rimaste sole, e poneva un problema di scelta drammatico non in astratto, ma collegato proprio a quegli esseri, alla loro identità personale.

L’altro elemento in gioco è quello dello spiare dal buco della serratura, del curiosare: lo stesso elemento che si attiva quando leggiamo un giallo. E’ noto che i fatti altrui interessano da morire: il gossip docet. Riuscire, poi, a mettere il naso nelle faccende private del signor Canella o del signor Bruneri, spiare fra le lenzuola dello smemorato e della sua chissà quanto veridicamente ritrovata sposa, è un obiettivo che a molti può sembrare assai appetibile. Ancora di più raccogliere dati per stabilire a casa propria chi è il colpevole della storia, di questa detective story a cui l’opinione pubblica italiana partecipò tutta quanta in funzione di lettore.

Quello di Roscioni non è l’unico esempio in questa direzione: Valeria P. Babini si era occupata nel 2004 di un altro caso giudiziario celebre: il caso Murri che aveva appassionato Bologna. Patrizia Guarnieri si era occupata dell’Ammazzabambini, per la serie delle microstorie sempre Einaudi. In tutti questi lavori si parla di positivisti: psichiatri, alienisti, giuristi, avvocati, antropologi, tutti accomunati dalla partecipazione alla cultura ancora dominante in campo psichiatrico, giuridico e criminologico, di stampo positivista, e ad alcune delle sue tesi più caratteristiche. Quelle tesi riguardano la definizione della donna come un soggetto facile all’isteria, la concezione della mente come una sorta di tabula rasa nella quale le memorie si accumulano progressivamente, l’impiego di metodi quantitativi di tipo lombrosiano nella valutazione della psiche dei personaggi coinvolti, l’uso perfino della frenologia per classificare comportamenti e tipi psicologici, il ricorso alla fisiognomica come criterio scientifico, l’utilizzazione di  stereotipi che oggi sarebbero considerati politicamente scorretti, la pratica di una psicologia pre-freudiana ma che già parlava di inconscio, l’idea che solo il comportamento individuale sia responsabile, a differenza di quello collettivo. In quelle opere si parla anche di delitti irrisolti, di misteri non chiariti: come leggere di tanti casi Franzoni o delitti Meredith, ma molto meglio, cioè con tutti i particolari che noi adesso non conosciamo.

Il positivismo italiano che allora dettava ancora legge da lì a qualche anno sarebbe scomparso. Scomparso dalle facoltà di psicologia e psichiatria, dalle aule di giustizia, e perfino dalle aule universitarie in generale. Don Benedetto non lo amava affatto (simile in questo a Gramsci) e si divertiva a metterne in rilievo gli aspetti più ridicoli. Eugenio Garin nelle sue influenti “Cronache di filosofia italiana” sottolineava tutta la debolezza del movimento in Italia: il rinnegamento del positivismo nasceva proprio all’interno di esso, per una sorta di svuotamento interno. Il positivismo italiano, nell’interpretazione di Garin, non era affatto in contrasto con lo spiritualismo, e perfino con lo spiritismo. Ci sarebbero voluti anni perché la storiografia filosofica italiana riprendesse in mano il positivismo e lo giudicasse in modo più equanime, riconoscendo i suoi moltissimi meriti, perché anche dello spiritismo praticato e indagato dai positivisti desse un’interpretazione meno superficiale.

Un aspetto che il caso dello smemorato di Collegno mette in risalto è il rapporto tra vicende giudiziarie di grande impatto e opinione pubblica, con effetti classici da psicologia collettiva: masse di lettori avvinti dalla vicenda, partecipazione molto sentita per una identità dello smemorato o per l’altra, distorsione delle notizie man mano che passano dalle aule di giustizia ai giornali, e dai giornali al pubblico, vera e propria costruzione delle notizie da parte di chi legge sulla base di informazioni scarse e frammentarie, reazioni uniformi che si ampliano per il fatto di essere nutrite da una massa (la massa dei lettori), vastissima produzione e circolazione di voci, false ma dall’effetto potente, convinzioni che perdurano e perfino si rafforzano anche quando vengono smentite e dimostrate false. Per un curioso cortocircuito, proprio la psicologia delle folle (quella di Gustave Le Bon), che non pochi positivisti italiani contribuiscono a sviluppare e ad applicare ai crimini collettivi, e nella quale i protagonisti di questa storia credono, sembra essere in azione in questo caso e ritorcersi contro di essi: la massa dei lettori diviene un soggetto incontrollabile dalla forza smisurata, che compie gesti irrazionali, nutre credenze non fondate, passa in un attimo dalla teoria all’azione scrivendo lettere, suppliche, articoli di giornale, affollandosi ogni volta che i protagonisti della storia si mostrano in pubblico.

C’è da scommettere che la vicenda dello smemorato avrà successo anche oggi: è una vicenda “pulita”, senza stupri né sangue. Non ci sono bambini scomparsi o delitti efferati. E, in più, mette in questione l’identità: un tema sempre attraente, specie quando l’identità può essere scelta a piacere. Inoltre, è un caso senza soluzione certa: tutta la scienza messa in campo non giunge a una soluzione definitiva. Il mistero rimane: e nel mistero, ognuno può pensare quel che vuole, immaginarsi la storia con lo svolgimento che preferisce, come in un romanzo postmoderno in cui il confine tra autore e lettore diviene labile, incerto, quasi inesistente. E alla fine una domanda: che cos’è che fa di ognuno di noi proprio ciò che siamo? Dati materiali come le impronte, la conformazione degli orecchi, la distanza del naso dagli occhi, oppure un quid piuttosto inafferrabile che è difficile indicare?

Tutto questo parla di un’epoca precedente l’analisi del DNA. Forse è un peccato vivere in un mondo che non lascia più nessun margine al dubbio, anche se, come abbiamo constatare di recente, il dubbio può benissimo convivere con l’analisi del DNA.

L. ROSCIONI, Lo smemorato di Collegno. Storia italiana di un’identità contesa, Torino, Einaudi, 2007, pp. XXII-294, euro 26,50.