Social media: libertà, eguaglianza e naufragio delle idee

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Social media: libertà, eguaglianza e naufragio delle idee

04 Ottobre 2012

Il ministro degli esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, intervenendo qualche giorno fa da New York in videoconferenza al dibattito “Conflitti armati e Social Media” organizzato a Torino in occasione della Social Media Week, ha affermato che i social media sono “un grande veicolo di libertà” e un “formidabile strumento di democrazia”.

Egli è così tornato a suo modo sulla delicata questione dei rapporti tra potere e libertà di espressione, tra politica e opinione pubblica – intesa questa come “pubblicità”, la “Publizität” di Immanuel Kant, lo spazio pubblico dove nella società civile avviene la circolazione, il dibattito e lo scambio delle idee. E ha espresso una verità tanto inattaccabile quanto ovvia: attraverso il web le informazioni, i giudizi, le idee passano senza dover essere filtrate, e come in una grande agorà virtuale, in circuiti come Facebook o Twitter, il singolo può raccogliere informazioni che arrivano da tutto il mondo e interagire con esse, con le “grandi tematiche dell’attualità internazionale”, e a sua volta può lanciare segnali personali, “fiammelle di informazione”, a un pubblico mondiale.

Nei paesi a democrazia avanzata i social media sono uno strumento per la diffusione allargata e libera delle informazioni, per la circolazione delle idee e delle opinioni, per il confronto delle notizie attraverso un dialogo che si svolge appunto in una dimensione orizzontale e aperta e non verticale e controllata. E d’altronde chi non sa che, al contrario, sul modello dei regimi dittatoriali del passato, tanto quelli fascisti che quelli comunisti, dove uno dei capisaldi del potere stava appunto nel controllo sistematico dell’informazione e nella manipolazione dell’opinione pubblica, ancora oggi i regimi illiberali della Cina comunista, o quelli dell’Iran o della Corea del Nord vietano o controllano fortemente l’accesso ai social media come Facebook con il fine appunto di troncare la libertà di informazione e decapitare la democrazia? Caratteristica dei totalitarismi – si legga il sempre attuale The Origins of Totalitarianism di Hannah Arendt del 1951 –  è anzi, appunto, accanto all’uso della forza militare e della violenza, dell’indottrinamento ideologico e del controllo centralizzato delle attività economiche, anche la capillare vigilanza sulla circolazione delle informazioni.

La questione dei nuovi media e delle loro virtù liberali e democratiche nasconde, in realtà, anche un rovescio della medaglia. La scomparsa di quell’elemento di capacità critica nell’opinione pubblica, nel passaggio dalla società borghese dei colti alla società di massa, già denunciata dalla Scuola di Francoforte ed in particolare da Jurgen Habermas al principio degli anni Settanta nella sua Storia e critica dell’opinione pubblica, si accentua nel passaggio dai “vecchi” ai “nuovi” media.

A riflettere sugli impatti negativi nell’opinione pubblica degli ormai “vecchi” e tradizionali media era stato il politologo Giovanni Sartori nel suo libro Homo videns. Sartori aveva già messo in rilievo non solo i limiti e le distorsioni nell’uso e nella diffusione dell’informazione nei regimi liberal-democratici, ma anche la rivoluzione antropologica innescata del mondo dell’immagine. La televisione in primis ha cambiato l’uomo. Se la cultura scritta aveva prodotto l’homo sapiens con la sua capacità di astrazione e di ragionamento, capace di innalzarsi dal mundus sensibilis al mundus intelligibilis, la cultura dell’immagine ha plasmato l’“uomo oculare”, il cui orizzonte mentale è unicamente racchiuso nel globo oculare, appunto, ricettore impassibile del bombardamento di immagini e notizie, spettatore passivo e deprivato della capacità astrattiva e di riflessione, un individuo acritico, un “video-bambino”. Né per Sartori si trattava di metafore o di esagerazioni della realtà: egli seriamente rifletteva sulla generazione di giovani cresciuti ed ingrassati davanti allo schermo televisivo – come il bambino obeso seduto in poltrona e ipnotizzato dalla tv nella copertina di quel libro.

Ma la televisione ha cambiato anche la politica – si veda qui, dello stesso Sartori, il capitolo sul Videopotere nei suoi Elementi di teoria politica – perché le capacità di manipolazione, di deviazione e di organizzazione del consenso da parte del potere politico sono centuplicate con l’uso e l’abuso delle immagini. Si può ricordare con Nicola Matteucci ed il suo saggio sullo Stato moderno come in un regime democratico non solo l’opinione pubblica tenda a influenzare il governo, ma che, d’altronde, anche la classe politica cerchi a sua volta di influenzare l’opinione pubblica, manipolando concetti, usando spregiudicatamente simboli, pubblicità reclamistica, propaganda e censura. E appunto i mezzi di comunicazione di massa come la radio o la televisione, in luogo dei vecchi libri, dei giornali e delle riviste, tendono ad organizzare dall’alto l’opinione pubblica, senza consentire quel libero dibattito e scambio di idee con i quali essa era nata fin dal Seicento con la libertà di stampa e con l’abolizione degli arcana imperii e la rivendicazione della pubblicità dei dibattiti parlamentari e di palazzo, e si era sviluppata nella liberale Inghilterra dal Settecento.

Infine, con l’avvento del web e dei nuovi media questi aspetti degeneri nella circolazione delle informazioni e della conoscenza non vengono meno. Anzi, il proliferare incontrollato della disinformazione, accanto all’informazione, continua sempre più turbinoso, spesso con un ulteriore degenerazione del livello critico e scientifico dei suoi contenuti. Nell’universo virtuale e caotico le opinioni personali tendono più che ad emergere a livellarsi ed a smarrirsi, o si esprimono nella sfiducia verso la cultura tradizionale, verso la classe dirigente e la politica – si pensi al successo del Movimento 5 Stelle o del “rutto libero”, se mi è permesso usare una simpatica e fantozziana espressione, suggeritami ad un pranzo informale da un serissimo studioso. Se da una parte l’opinione individuale e libera tende ad atrofizzarsi, e a piegarsi nell’indifferenza e nell’inazione, dall’altra si potrebbe anche affermare che i new media sembrano intronizzare ancor più e definitivamente l’impero mobile e fluido dell’Opinione, in luogo di un autentico e solido sapere. E’ ancora Matteucci a ricordarci come in un’accezione del tutto negativa Aristotele nella Metafisica avesse contrapposto l’opinione (doxa) all’episteme della scienza, e Kant avesse distinto il vero sapere (Wissen) del filosofo dall’opinione della folla e del senso comune.

Se da un lato il mondo odierno dei social media è veicolo della libertà e dell’eguaglianza, dall’altro esprime anche gli aspetti peggiori di una democrazia di massa dove, nel naufragio delle idee, tutti parlano di tutto, spesso senza approfondimento, e tutto confondono senza una bussola, e criticano senza un frammento di verità da difendere e perseguire. Chissà cosa direbbe Leopardi oggi, se già egli ironizzava amaro sulla “profonda filosofia de’ giornali” quando, a metà Ottocento, l’informazione di massa e la crisi della cultura erano solo agli albori!