“Solo con una manovra draconiana si può incidere su un debito stellare”
01 Dicembre 2010
Si allentano le tensioni sulle difficoltà di bilancio di alcuni paesi della zona euro. E la riduzione dello spread tra il Bund tedesco e il Btp decennale italiano a 190 punti dai 219 toccati appena due giorni fa sta lì a dimostrarlo. Qual è la causa delle oscillazioni che abbiamo visto in questi giorni? Pesa l’instabilità politica intesa come fonte di preoccupazione dei mercati o le cause sono da ricercarsi altrove? Per Alessandro Carpinella, partner Kpmg Corporate Finance "l’instabilità politica c’entra davvero poco".
Perché?
Questi dati sono tendenzialmente virtuali nel senso che questi spread non sono quelli pagati dal Mercato a un’Asta, non è il cartellino col prezzo che il Ministero dell’Economia deve mettere sopra il proprio strumento quando lo emette: è il prezzo che viene pagato tra operatori che si scambiano questi titoli su un mercato secondario, avendoceli già in proprietà. La massima parte di queste transazioni viene fatta tra operatori molto specializzati quindi parliamo di un mercato che è una piccola parte del mercato del debito pubblico.
Quindi la lente di ingrandimento attraverso cui guardare lo stato di salute dell’Italia è l’Asta?
Certamente. Quando il Ministero del Tesoro emette dei titoli e fa un’Asta per collocarli offre allo stesso prezzo a tutti gli operatori del mercato uno strumento avendo fatto un ragionamento su quali sono le condizioni per venderlo, quindi tende a fare il prezzo più basso cercando di avere la certezza di portare a casa la vendita di tutti gli strumenti portati all’Asta (quindi il prezzo non potrà mai essere troppo basso). Ed è quella la sede propria nella quale il rischio di Un paese viene valutato dal mercato perché è il Paese stesso nel suo Ministero dell’economia a mettere in gioco attraverso un’Asta pubblica i propri titoli di debito. Quando parliamo invece di scambi di titoli tra soggetti molto specializzati, che sono in genere banche, a formare il prezzo non è soltanto il rischio dello strumento ma anche lo stato di chi glielo vende: se la banca che vende ha necessità di farlo, chi compra può chiedere condizioni più convenienti e questo si traduce in uno spread maggiore sullo strumento che non dipende solo dal fatto se l’Italia o la Spagna siano più o meno rischiose ma anche dalla lettura che il compratore dà della necessità dell’altro di vendere.
Le ultime Aste sono andate molto bene. Cosa significa?
Che non stiamo male. Se in quelle circostanze lo spread si alzasse sistematicamente ci sarebbe da preoccuparsi, ma abbiamo visto che così non è stato. E comunque c’è da dire che siccome abbiamo una politica di scadenze del debito molto lunghe (che abbiamo opportunamente fatto quando i tassi erano molto bassi), anche nel caso che questi differenziali aumentassero sistematicamente obbligando il Tesoro a proporre dei prezzi più alti al mercato, la media del costo del debito continuerebbe a rimanere abbastanza governata.
L’allarme per un possibile "contagio" è motivato quando si deteriorano il sistema bancario e lo stato dell’economia e quando la capacità del governo di ristrutturare i conti viene meno. Partiamo dal primo punto: come stanno le nostre banche rispetto a quelle degli altri paesi?
Il sistema bancario italiano è meno esposto rispetto agli altri perché i bilanci delle banche sono pieni di crediti: nella banca italiana c’è poca finanza e molto credito. Questo non significa necessariamente che i nostri istituti di credito stiano meglio perché il credito in un momento di difficoltà economica ha subito un deterioramento importante.
In che senso?
Nel senso che oggi c’è un problema di qualità dei bilanci delle banche. All’estero c’è almeno un 40% di attivi delle banche che è fatto di finanza (in alcuni paesi supera il 50%) quindi il rischio che ci siano dei titoli di cattiva qualità dentro il bilancio delle banche è molto più elevato rispetto all’Italia dove la componente di finanza dell’attivo di una banca è del 20, massimo 30% laddove il 70% rappresenta crediti nei confronti dell’economia reale. Le banche italiane rischiano di più delle altre se l’economia reale del paese di riferimento va male, rischiano di meno delle altre se qualche grande emittente internazionale di titoli va in default. Detto in altri termini, se salviamo qualche paese che ha emesso titoli che riempiono i bilanci delle banche di fatto stiamo facendo una politica che potrebbe essere antiselettiva nei confronti degli interessi italiani perché in via proporzionale stiamo dando una mano di più a banche internazionali.
La nostra economia è talmente debole da destare forti preoccupazioni?
Il nostro problema oggi è la dimensione del debito. Quello è il solo fattore di preoccupazione. Gli altri due fondamentali fattori sono sotto controllo: la situazione del deficit (che è abbastanza buona) e la dinamica dell’economia reale con i suoi impatti sulla banca. Oggi l’Italia come sistema avrebbe dei problemi se persistesse una forte crisi di adempienze creditizie proprio perché abbiamo le banche molto esposte con i crediti. Il problema del paese quindi, dal punto di vista dei suoi effetti finanziari è rappresentato dalle eventuali difficoltà delle imprese a ripagare i crediti con le banche perché abbiamo un’economia che molto di più, rispetto ad altri paesi, passa dal credito bancario. La situazione vede qualche miglioramento.
Sicuro?
Certamente. Siamo in una fase di miglioramento per tutta la parte del manufacturing. I flussi di nuove sofferenze si stanno calmando e alcune ristrutturazioni stanno andando bene. Siamo nel pieno della tempesta però per quanto riguarda l’edilizia e l’immobiliare, che hanno un ciclo ritardato. Anche il credito alle famiglie è stato rimesso sotto controllo.
Abbiamo ristrutturato i conti, siamo al riparo? Crede ci sia bisogno di una manovra correttiva?
Se parliamo di una manovra correttiva per correggere il deficit, no! Abbiamo il rapporto deficit-pil migliore d’Europa. Se guardiamo al debito, allora sì! C’è bisogno di una manovra draconiana esattamente come ce ne era bisogno tre o quattro anni fa. Non sono affatto convinto che possiamo dormire tranquilli con il 120% del debito/pil. Non sono affatto convinto che possiamo dormire tranquilli con 1800 miliardi di debito.
E quali sono le strade per ridurre il debito in maniera immediata e significativa?
Sono tre. Un piano molto aggressivo di privatizzazioni, un consolidamento parziale del debito, una forte inflazione. L’euro ci impedisce quest’ultima strada (dovremmo svalutare la nostra moneta ma siccome noi non abbiamo una moneta nostra…). Idem per il consolidamento del debito, che non può certamente essere deciso nell’ambito dell’area euro da ogni singolo paese. Sulle privatizzazioni invece c’è da ragionare.
Di privatizzazioni si parla molto ma nel concreto si fa poco…
Già, purtroppo. E in questo senso il tema della forza e della stabilità del Governo è decisivo, tanto che credo che in questo momento non ci siano le condizioni politiche per dare vita a un piano davvero strategico come quello. Si dovrebbe ipotizzare un percorso di tipo straordinario con strumenti straordinari, con leggi obiettivo, con percorsi che partano proprio dall’obiettivo da raggiungere e subordinino tutto il resto.
Come si fa a coniugare rigore e crescita?
Bisogna tornare a un vecchio adagio liberale: il rigore lo fa la politica, la crescita la fanno gli attori economici. Io trovo figlio di una concezione non realistica di cosa è la politica il chiedere più sviluppo nella Finanziaria.
Si sta riferendo ai finiani di Fli?
A loro ma anche alle opposizioni in genere. Chiedere lo sviluppo per decreto è un controsenso logico. La politica fa già tanto se si occupa del rigore, farebbe tantissimo se garantisse condizioni di assoluta tenuta almeno per la parte deficit perché per la parte debito non può fare nulla senza una di quelle iniziative straordinarie di cui abbiamo parlato. I problemi dell’Italia di oggi, delle speculazioni finanziarie, non possono essere affrontati chiedendo allo Stato di farsi carico dello sviluppo perché queste richieste si trasformano in una somma di piccoli incentivi o piccoli aiuti che possono incidere su circostanze specifiche ma che nulla hanno a che fare con lo sviluppo. Io ricordo che il Mezzogiorno ha avuto i tassi di crescita più significati in quel quinquennio successivo alla drastica fine del sistema della cassa del Mezzogiorno dal quale si sono liberate una serie di energie.
Ma lei crede davvero che gli attori economici oggi siano nelle condizioni di fare sviluppo?
Alcune condizioni ci sono. Dopodiché vedo anche io con preoccupazione l’assenza dell’Italia da alcuni scenari internazionali, la scarsa internazionalizzazione di alcuni attori che in Italia sono protagonisti del proprio business, il fatto che su due o tre settori produttivi negli anni ’70 eravamo leader nel mondo (penso alle grandi costruzioni, alla meccanica strumentale) e ora non lo sono più. I problemi ci sono eccome ma da qui a chiedere un protagonismo fuori tempo massimo dello Stato ce ne passa davvero tanto…
L’Italia è uno stato liberale?
E’ una grande questione. Come diceva Guido Carli lo è più per l’incapacità di fare lo Stato burocratico che pure l’Italia ha avuto l’ambizione di fare che non per avere strategicamente pianificato di esserlo.