Solo in Italia il nucleare resta un tabù

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Solo in Italia il nucleare resta un tabù

27 Ottobre 2007

All’indomani del voto pro-nucleare del Parlamento Europeo, il governo s’impegna a cacciare la testa sotto la sabbia. Il presidente del consiglio, Romano Prodi, ha detto: “Sul nucleare l’Italia ha preso una posizione molto chiara. Italia e Germania non hanno scelto il nucleare. Abbiamo però scelto di ricercare nell’ambito del nucleare”. Che è una solenne sciocchezza. E’ vero, naturalmente, che nel 1987 un referendum ha veicolato tutte le paure degli italiani e ha innescato una retromarcia politica senza precedenti, che ha portato alla chiusura degli impianti atomici appena inaugurati e alla distruzione del patrimonio scientifico e tecnologico che il paese aveva saputo costruire. Ed è corretto che i tedeschi, a differenza dei francesi, non vedono nel nucleare un’opzione strategica, o comunque una bandiera da agitare. E tuttavia, a differenza dell’Italia, la Germania non ha alcuna intenzione di smantellare le sue centrali, che soddisfano circa il 30 per cento del fabbisogno elettrico nazionale (un altro 50 per cento è alimentato a carbone, tanto per capire quale sia il reale rapporto tra propaganda e realtà nel mito della Germania rinnovabile).

Sebbene il governo rosso-verde di Gerhard Schroeder fosse molto critico verso questa tecnologia, nessun provvedimento reale è stato preso per limitarne l’utilizzo. L’attuale grosse koalition sceglie la via del silenzio, ma sa che dell’atomo non può fare a meno, e del resto la cancelliera Angela Merkel è una nuclearista convinta. La verità è che il pronunciamento dell’europarlamento non contiene nulla di nuovo o che fosse prima ignoto: rappresenta, però, un’enorme passo avanti dal punto di vista politico. Finalmente l’Europa, stretta tra obiettivi di riduzione delle emissioni che non riuscirà a raggiungere e un aumento apparentemente inesorabile dei prezzi del petrolio, ammette che l’atomo è una componente essenziale del suo mix energetico, e che il suo contributo non è comprimibile nel futuro prossimo – anzi, è probabilmente destinato a espandersi, se prevarrà un atteggiamento pessimistico sugli scenari petroliferi dei prossimi decenni.

Prodi, con le sue parole, ha tentato di trovare una terza via: sì al nucleare ma non ora. La stessa strada è stata battuta dal ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani che pure, si dice, dentro di sé è un tifoso dell’atomo. Ma negare l’esistenza di un caso-Italia, o cercare il quieto vivere rimandando di qualche anno la discussione attraverso il richiamo al nucleare di quarta generazione, non giova né alla qualità del dibattito politico, né alla competitività del sistema-paese. E’ certo che le tecnologie di domani saranno più efficienti e pulite di quelle di oggi. Ma anche quelle di dopodomani saranno migliori di quelle di domani, e così via. Ragionando in questo modo, non si arriva da nessuna parte. Né, soprattutto, si risolve il problema qui e ora: chi mi garantisce che, quando premo l’interruttore, da qualche parte si metterà in moto un processo che fornirà l’energia sufficiente a far brillare la lampadina?

L’energia è una cosa seria, che non può essere affrontata a suon di slogan, come troppo spesso avviene in Europa. Parlare delle singole fonti è il rischio da evitare. Per soddisfare una domanda complessa e crescente, tutte le fonti di energia – tutte – rivestono un’importanza e hanno un ruolo. Soprattutto all’interno di un contesto liberalizzato, o in via di liberalizzazione, quale è quello che bene o male ci siamo dati. In una cornice di competizione, le imprese devono comporre il portafoglio più efficiente possibile delle loro centrali: quindi, quel che conta non è solo il costo del kilowattora, ma anche la stabilità e la prevedibilità dei costi, e la flessibilità degli impianti. Il nucleare, come il carbone, si presta molto bene a soddisfare il cosiddetto carico base, quello che deve essere costantemente erogato perchè in qualunque momento del giorno, tutti i giorni dell’anno, viene richiesto. Infatti, ogni paese industrializzato ha in queste due fonti uno zoccolo importante: solo l’Italia vi ha abdicato, e questa è una delle ragioni per cui l’elettricità da noi è più cara che altrove, con tutte le conseguenze per l’economia reale che ciò comporta.

Se dunque l’ideologia verde rappresenta una minaccia alla promozione del benessere (energetico ed economico), occorre guardarsi anche dall’ideologia opposta: quella che vorrebbe trovare nel nucleare la risposta a tutti i problemi. No: il nucleare costituisce una valida risposta ad alcuni problemi, ed è da qui che bisogna partire. Diversamente, si agisce (consapevolmente o no) nell’interesse di questa o quella lobby (o di questo o quel paese), ma non per il bene del paese.