Solo una coalizione liberal-nazionale può salvarci dalla deriva populistica a 5 Stelle
04 Marzo 2018
Qual è la posta in gioco nelle elezioni italiane del 2018? In tutta Europa lo scontro politico non è più tra sinistra e destra, ma tra europeismo superstatale, burocratico, rigorista, e nazionalismi identitari. In mezzo, i liberali conservatori cercano di salvare i vantaggi dell’unione e dell’economia di mercato ma riportando in primo piano gli interessi nazionali. Le socialdemocrazie stanno scomparendo, perché ormai nell’epoca della globalizzazione dispiegata non possono più usare le alte tasse e il deficit per sostenere programmi ambiziosi di spesa pubblica. Resiste solo una sinistra movimentista antisistema e antiglobalista, condannata comunque alla marginalità.
Questo accade ora anche in Italia. Renzi ha tentato di trasfigurare il PD, con tutta la pesante eredità delle sue culture politiche, in liberalprogressismo mondialista. Ma il suo tentativo, rozzamente personalistico e privo di spessore culturale e programmatico, è fallito: il PD si è ridotto in breve a semplice esecutore degli apparati UE e dei grandi gruppi economici continentali, perché incapace di imporre una svolta politica autenticamente liberale per il suo radicamento sociale strutturalmente statalista. Nel grande vuoto che sta lasciando la sinistra di governo sopravvive un’élite para-“tecnica” (impostasi per la prima volta con il governo Monti nel 2011) che cerca di imporsi aggirando la ricerca del consenso popolare, approfittando dell’instabilità politica e della cronica debolezza dei partiti, indeboliti da decenni di delegittimazione giudiziaria e antipolitica. Il suo volto apertamente politico più diretto è la lista +Europa di Emma Bonino.
A contrastare questo tentativo costante di riduzione della democrazia a tecnocrazia, il vecchio centrodestra di Berlusconi – dimostratosi ancora una volta, contro le aspettative di molti, il leader strategicamente più lungimirante del paese – deve necessariamente fare causa comune con la parte più radicata e “costituzionalizzata” del populismo nazionalista, oggi rappresentata dalla nuova Lega “pan-italiana” di Salvini e da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Perché la radicalizzazione dello scontento per il declino del paese e l’espropriazione della sua sovranità popolare genera una spinta destabilizzante che può essere contenuta soltanto attraverso una coalizione liberal-nazionale, nel solco di Trump e in parte della May. Ma anche perché in Italia l’esondazione della protesta antipolitica ha prodotto un’anomalia profonda che nasce da quella stessa rivendicazione di sovranità, ma può rivelarsi la sua più amara nemesi: il populismo del movimento 5 Stelle.
Un populismo che, al contrario di quelli oggi preminente nel vecchio continente, non ha un nucleo sovranista, ma rappresenta il ricettacolo dei residui più tossici – fossili politici redivivi – della più antiquata sinistra estrema italiana: assistenzialismo parassitario, rifiuto di politiche di crescita economica, immigrazionismo incosciente e sregolato (sebbene oggi velato dalla leadership “in doppiopetto” di Di Maio per la sua evidente impopolarità), disinteresse totale per politiche di sostegno alla famiglia, politica estera antioccidentale pericolosissima per la sicurezza nazionale, giustizialismo feroce e paralizzante. In effetti si può dire che l’ampio consenso elettorale conquistato in questi anni dal M5S può essere interpretato come il travaso di una quota “cronica” di opinione pubblica “antisistema” dalla sinistra tradizionale in un nuovo contenitore “liquido”, dalla forte impostazione gerarchico-verticistica ma anche capace di formare dal nulla una classe dirigente improvvisata, dando a molti l’impressione di incarnare finalmente una rottura dell’immobilismo “di casta” della politica italiana.
Il grande confronto che va in scena in queste consultazioni politiche è dunque quello tra questo populismo “prendi-tutto”, utopistico e millenaristico catalizzatore di una rabbia sorda, disarticolata, e dall’altra parte la coalizione liberal-moderata-nazionalista. Il centrosinistra “politico” è del tutto tagliato fuori ormai da questa lotta, e può fungere solo da portatore d’acqua dell’uno o dell’altra. Ogni voto dato al PD e alle altre formazioni della sinistra e del centro alleate alla sinistra è inutile ed sprecato. Mentre il centrosinistra “tecnocratico”, non dipendente dai voti, attende di approfittare dia un possibile stallo post-elettorale per imporre di nuovo, come negli ultimi 6 anni, attraverso una formula di “larghe intese” la ricetta “junckeriana” dell’immobilismo e della stagnazione, quella del “ce lo chiede l’Europa”.
L’unica vera scelta che gli elettori possono fare è quella tra la deriva sfascista, incoerente e avventurista dei 5 stelle e un ragionevole equilibrio tra mercato globale e difesa dell’identità nazionale, imperniato su programmi choc di rinascita economica come la “flat tax”, e incarnato dalla nuova coalizione berlusconiana. Ogni aggiramento di questa alternativa, ogni equilibrio, ogni golpe tecnocratico mascherato da maggioranza di “unione nazionale” farebbe soltanto perdere tempo prezioso al paese, trascinandolo ancor più in fretta nel baratro della decadenza, dell’irrilevanza, della subordinazione.