Sottovalutare l’affare Wikileaks potrebbe essere un grave errore

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Sottovalutare l’affare Wikileaks potrebbe essere un grave errore

30 Novembre 2010

Le ultime notizie sul fronte Wikileaks recano gli afflati etici d’un Julian Assange a cui non spiace mostrarsi più braccato di quanto non sia. Il prossimo obbiettivo della filibusta dell’avventuriero australiano sarebbero fatti e misfatti d’una grande banca americana (guarda caso), destinata ad essere turned inside out in nome di trasparenza e giustizia.

Dalle cancellerie, il bollettino di guerra racconta invece di verità smozzicate, ovvietà svelate, gossip diffuso e strumentalizzazioni a iosa. In quest’ultima specialità, l’Italia non resta seconda a nessuno: e vai di chiamate al Copasir, bisbigli su pedinamenti chissà se avvenuti,  intemerate di testimoni utili ad ogni bisogna, dagli affari con Cosa Nostra a quelli con la Santa Madre Russia. Troppa carne al fuoco anche per gli allocchi più compresi nel ruolo.

Un osservatore smaliziato, non propriamente alieno dagli ambienti atlantici, stanco delle consuete pubblicazioni ad orologeria, ha ragionato ad alta voce l’altro giorno: "Non sarà che Wikileaks ci illuminerà pure sulle mosse dei Mancino-Conso-Scalfaro durante gli anni novanta?". Per queste vecchie storie, si capisce, scomodare il comitato di controllo sui Servizi sembra assai ardito. Meglio fidarsi della parola degli intoccabili protagonisti dell’epoca!

Battute, ma nemmeno tanto, a parte, torniamo al mare magnum di rapporti diplomatici svelati dal sito di Assange e alle reazioni. Israele si compiace del suo sistema di sicurezza e non teme sorprese (su questo, il  nuovo capo designato del Mossad, Tamir Pardo, confida di evitare un " battesimo di fuoco");  l’Intelligence francese ha la consapevolezza che i guai peggiori arrivano da Karachi e in quei meandri  concentra gli sforzi; gli 007 di Sua Maestà Elisabetta preferiscono guardare alle operazioni congiunte con gli alleati occidentali in terra persiana; Leon Panetta, gran capo della Cia, è lieto che la patata bollente sia in mano  soprattutto al Dipartimento di Stato; a Pechino, al netto di talune novelle sulla politica per la riunificazione coreana, ammiccano sornioni; i russi, bè, non sono troppo offesi che il loro uomo forte venga definito "machio alfa", anzi.

Quanto al Colonnello Gheddafi, vogliamo che lo impensieriscano le dicerie su un’infermiera ucraina?
Ha ragione Edward Luttwak, allora, quando sostiene che Wikileaks "si sgonfierà come un palloncino"?  Occorre prudenza. La tentazione di condividere l’affermazione di Paolo Scaroni – un altro big dell’industria nazionale "attenzionato" per le sue mosse, spesso molto  efficaci – su una "Dagospy" che non merita commenti è forte, ma nello stesso tempo va evitata una sottovalutazione di maniera circa una possibile ulteriore escalation degli Assange boys, qualora non venissero bloccati in tempo.
Anche perché se, per avventura, sulla piazza mediatica globale dovessero finire i documenti top secret dei servizi segreti la musica, allora sì, cambierebbe. E di brutto.