Spd tedesca al cuore della crisi della sinistra europea

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Spd tedesca al cuore della crisi della sinistra europea

08 Novembre 2017

La sinistra “Spd-centrica” è allo sbando, le sinistre che fanno le sinistre no. C’est à cause de votre façon de faire de la politique, madame Merkel, qu’un parti de la droite populiste est dans notre assemblée”. Così le Monde del 26 ottobre registra una dichiarazione di  Carsten Schneider. A conferma delle considerazioni sulla crisi di quella sinistra europea di cui la Spd è il vero cuore, ecco le dichiarazioni del capogruppo socialdemocratico al Bundestag che si accorge degli errori della Merkel dopo otto anni che ci sta al governo insieme e dopo averla sfidata con un Martin Schulz di cui si è detto che aveva un’unica significativa differenza con la Kanzelerin: l’ex presidente del parlamento europeo aveva la barba. Le dichiarazioni schneideriane fanno il paio con quello che svela il probabile futuro cancelliere austriaco Sebastian Kurz al Corriere della Sera del 27 ottobre: “nelle consultazioni esplorative la SPÖ non ha mai segnalato la disponibilità a una coalizione con me cancelliere. Anzi ha lanciato segnali alla l’FPÖper un’alleanza di governo insieme”. Insomma i socialdemocratici avrebbero lanciato un’esca a quelli che la stampa liberal considera nipotini di Adolf Hitler. Da una parte abbiamo nello svelamento di questi retroscena la conferma di un sistema dei media che con le sue incontrollate accuse di “neonazismo a questo e a quello” si ritrova profondamente bacato da banalità e faziosità ben intrecciate, dall’altra abbiamo la riprova di quella crisi della sinistra europea Spd-centrica che non sa più tenere una linea coerente in qualsiasi occasione.

A conferma di questa tesi, il caso disperante dei socialisti spagnoli che sugli arresti di una decina di politici indipendentisti catalani non sanno dire altro che hanno fiducia nella magistratura (con la variante degli esponenti  del già glorioso Partit Socialista Unificat de Catalunya  che secondo quel che scrive Omero Ciai sul Corriere della Sera del 3 novembre se ne escono con un imbarazzante: “Arresti sproporzionati”). Persino quello sperduto leader di Podemos che è Pablo Iglesias, peraltro con ragioni contrario al secessionismo catalano, fa una figura migliore quando dice: “Mi vergogno che nel mio paese si incarcerino gli oppositori”. A occhio anche questo è un sintomo di come solo una svolta radicale potrà salvare il socialismo europeo. In Francia, per esempio, l’unico oppositore con dignità è Jean-Luc Melanchon che sulla Repubblica del 3 novembre dice: “Ho 66 anni, faccio politica da 50. Monsiuer Macron non riuscirà a farmi cadere in depressione”. Così in Gran Bretagna quel vecchio erede della area massimalista del Labour (solo i soliti scioccherelli possono evocare “un nuovo populismo” per spiegare il fenomeno dei laburisti corbynisti figli di una tradizione ben radicata nella storia della sinistra inglese) ha riportato il suo partito al 40 per cento. Mentre in Grecia è al governo un erede dei giovani berlingueriani, Alexis Tsipras, che alla fine degli anni ’70 contestarono il tradizionale partito comunista greco filosovietico. Anche in Portogallo è un vecchio leader socialista che si allea ai resti del comunismo lusitano, Andrea Costa, e vince le elezioni.

Disperanti in questo senso le sorti della nostra sinistra (non parlo del renzismo che è un movimento”dall’alto” con complesse radici) che pare stia preparando – così scrive Francesca Schianchi sulla Stampa del 5 novembre – per il 2 dicembre  “Il lancio della lista che si presenterà alle politiche in primavera, ufficializzando il simbolo e il nome del leader e candidato premier: Pietro Grasso”, puntando alla fine, invece che su un programma sociale, su campagne giustizialiste già largamente dominate dai grillini e invece che su un leader politicamente o almeno sindacalmente esperto, su uno dei pochi “rappresentanti del popolo” che capisce di politica (tra l’altro la disprezza in sé) meno di Giuliano Pisapia.

Se ti sorprendono in mutande, buttala sulla storia. “A day later, he resigned as defence secretary, telling the BBC: “The culture has changed over the years, what might have been acceptable 15, 10 years ago is clearly not acceptable now”. Il sito on line di Bbc news del 3 novembre riporta così una dichiarazione di sir Michael Fallon, già ministro della Difesa di Theresa May dimessosi innanzi tutto per aver toccato un ginocchio a una giornalista (il ginocchio comunque è intatto, ha detto quest’ultima). Nel riflettere sulla vicenda l’ex ministro dice (lo stile è puro Wodehouse) che il clima culturale sta cambiando e cose che 15,10 anni fa erano accettabili, non lo sono più. La cultura, si sa, cambia, sì. Le ginocchia invece no: angolose o paffute, talvolta velate da provocanti calze, le ginocchia restano, irresistibili. Giustamente una che dei pericoli della seduzione sapeva molto, come Coco Chanel, avvertiva: “Montrer les cuisses, oui… mais les genoux, jamais !” Mostrate le cosce, sì. Ma le ginocchia, mai! Peraltro, poi, sempre riferendosi ai cambiamenti culturali, è interessante notare come la vecchia regola per cui i tory vadano nei guai per il sesso, mentre i labour per i soldi (nonostante proprio in questi giorni sia stato individuato uno sporcaccione anche tra questi ultimi) tende a non cambiare. Anche se un tempo i vecchi conservatori finivano spesso nei pasticci piuttosto per essersi intrattenuti nei gabinetti della fermata del “tube” di Piccadily Circus con qualche bel giovanotto, che per aver corso dietro qualche avvenente giornalista.

La Sicilia, è la chiave di tutto? “E’ certo una vittoria politica, ma non un plebiscito popolare” scrive Alessandro  De Angelis su Huffington Post Italia del 6 novembre. Si può minimizzare la vittoria di Nello Musmeci? Sì, certamente: in Italia c’è per fortuna una assoluta libertà di opinione. No, invece se si pensa come Wolfgang Goethe che “è in Sicilia che si trova la chiave di tutto”. Ezio Mauro per esempio è di questa seconda scuola, non minimizza affatto e scrive sulla Repubblica del 7 novembre  invece come il voto di domenica sveli “il peccato originale di sedere a Palazzo Chigi senza avere mai vinto le elezioni”.

Se Casini fa la faccia feroce. “La commissione d’inchiesta non guarderà in faccia nessuno “ dice Pierferdinando Casini alla Repubblica del 29 ottobre. Messo alla commissione d’inchiesta sulle banche per tenerne basso il tono, Pierferdy fa la faccia feroce. Non si ricorda un numero così dai tempi in cui Petrolini imitava Mussolini, o di quelli di quando Harpo Marx si esibiva al fronte in Duck soup. A sorpresa, questa evidente verità (il povero Casini è uno che fa la faccia feroce ma solo per finta) non convince Massimo Gianni che sulla Repubblica del 6 novembre scrive: “Il Pd renziano impegnato in un goffo inseguimento dei Torquemada pentastellati, sta sbagliando ancora a trasformare la commissione parlamentare in un tribunale del popolo” . Ma come si fa a presentare l’ormai vecchio giovane-politico dc pasticciatore di ogni pasticcio come un Vyšinskij? E sì che di veri Torquemada e tribunali popolari, laggiù a Largo Fochetti dovrebbero intendersene.