Spianare la strada alla previdenza complementare si può. Ecco come
03 Marzo 2010
Al fine di conseguire l’auspicato sviluppo della previdenza complementare, che attualmente riguarda poco più di 5 milioni di lavoratori, oltre un quarto dei quali autonomi o libero professionisti, si possono suggerire taluni interventi, non elusivamente legislativi, peraltro in altre occasioni già segnalati ai lettori de l’Occidentale (leggi la prima e la seconda puntata del nostro ultimo viaggio sullo stato e le prospettive della previdenza di base e comolementare).
Va in primo luogo osservato che, volendo escludere forme (dirompenti) di obbligatorietà di adesione ex lege, la strada della previdenza complementare, a partecipazione rigorosamente volontaria/individuale, è, indubbiamente, assai “in salita”. Sembra dunque ragionevole invocare un mirato, nuovo, intervento legislativo, che, modificando la disciplina di settore su di un punto chiave, attenui il sopra richiamato principio di adesione volontaria/individuale. L’auspicata nuova normativa dovrebbe rendere nuovamente possibile per il mondo del lavoro subordinato porre in essere, come praticato in passato, prima del 1993, forme di adesione a piani di previdenza complementare stabilite in via collettiva.
A fronte della cogenza contrattuale dell’iscrizione ad un fondo pensione, quale contrappeso, andrebbe consentita l’uscita immediata da parte del lavoratore dissenziente il quale renda noto il suo diniego entro un ragionevole lasso temporale (ad esempio 60 giorni) dal momento in cui gli sia stata formalmente resa nota l’intervenuta iscrizione ex contractu al piano previdenziale complementare. Andrebbe inoltre ulteriormente rafforzata la già prevista facoltà soggettiva di trasferimento della posizione individuale, trascorso un triennio/quinquennio dalla iscrizione, espressamente precisando che l’avvenuto esercizio della portability comporta, comunque, la continuità del diritto a beneficiare della contribuzione datoriale presso la nuova forma previdenziale scelta.
In occasione del suggerito nuovo intervento legislativo, avuto riguardo alla tematica della gestione degli attivi patrimoniali delle forme, sarebbe inoltre opportuno consentire nuovamente l’utilizzo da parte di tutti i fondi pensione delle “tradizionali” polizze assicurative di ramo I e V. Tale modalità di impiego delle risorse patrimoniali ha dato, infatti, buona prova di tenuta e di stabilità nel lungo periodo nell’ambito delle forme preesistenti che l’hanno utilizzata.
E’appena il caso di evidenziare, poi, che sarebbe auspicabile anche un miglioramento della disciplina fiscale: l’abolizione del prelievo dell’11% sul risultato annuo di gestione e una deducibilità degli apporti contributivi, oltre che in cifra fissa, anche, alternativamente, secondo una misura percentuale, si configurano certamente quali interventi da compiere, non appena uno spiraglio nella finanza pubblica lo consenta. Anche il già favorevole trattamento tributario delle prestazioni potrebbe essere ricondotto ad un alveo di piena conformità costituzionale, sottoponendo le stesse alla fiscalità ordinaria, con la previsione, però, di forti abbattimenti della base imponibile, in ragione della durata temporale della partecipazione dell’iscritto allo schema previdenziale complementare.
Al fine di alleggerire l’impatto sul costo del lavoro dei piani di previdenza complementare, diffusi in larga scala, il contributo di solidarietà a favore dell’INPS, attualmente gravante sulle imprese nell’ingente misura del 10%, andrebbe fortemente ridimensionato, riducendolo almeno della metà.
In ogni caso, anche in presenza di procedure di adesione a piani di previdenza complementare più o meno cogenti in chiave collettiva e, a maggior ragione, qualora perdurasse l’attuale situazione di adesione su base strettamente volontaria occorre addivenire ad una diffusa consapevolezza da parte della popolazione delle proprie necessità pensionistiche future. Siffatta consapevolezza può maturare solo muovendo dalla conoscenza dell’ammontare dell’assegno pensionistico di base atteso. Pendente il piano di previdenza complementare, occorre, poi, far percepire l’indispensabilità del costante monitoraggio individuale dell’andamento reddituale del piano pensionistico medesimo.
Quelli da ultimo indicati non sono davvero obiettivi di poco momento né appaiono comunque conseguibili in tempi brevi, in virtù di una mera scelta legislativa.
Sistematiche campagne di educazione previdenziale (ma anche finanziaria) condotte nelle scuole superiori, iniziative pubbliche di sensibilizzazione generale, un forte impegno informativo degli utenti da parte degli enti previdenziali di base, un’accresciuta capacità comunicativa dei fondi pensione, forme di partecipazione “educativa” e di sostegno ad opera delle regioni, corretta e costante attenzione alla materia da parte dei media sono tutti fattori da attivare, per conseguire quello sviluppo della previdenza complementare che appare indispensabile per il futuro assetto di welfare del Paese.
Qualora gli indicati interventi fossero realizzati, come auspicato, in corso d’anno, anche il bilancio previdenziale dei primi due lustri del terzo millenio sarebbe in condizione di “chiudere”, il prossimo 31 dicembre, con un risultato fortemente positivo.