Spinelli sbaglia catechesi

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Spinelli sbaglia catechesi

23 Settembre 2011

Barbara Spinelli vorrebbe che il Papa scomunicasse Berlusconi. L’editoriale in cui chiede a gran voce questo gesto, “simile a quello di Cristo nel tempio”, che “allontanerebbe Berlusconi dal potere in un attimo”, si intitola “lo strano silenzio della Chiesa”.

Non so se volontariamente o per inconsapevoli affinità giornalistiche, il titolo richiama un articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere di qualche giorno fa, in cui si rimarca il preteso silenzio della Chiesa sulle intercettazioni che riguardano il Presidente del Consiglio. Stella insiste sulle metafore e sui rimandi religiosi nei discorsi del Cavaliere e sul suo dichiararsi credente, come a dire: com’è che, di fronte all’indegnità evidente di quest’uomo, la Chiesa tace, non condanna pubblicamente, non prende le distanze?

La Spinelli va oltre: chiede, anzi pretende, “un’interferenza” delle gerarchie vaticane o della Cei: “Sarebbe un’interferenza, lo so… ma l’interferenza è una prassi non disdegnata dal Vaticano”. Si tratta della stessa Spinelli che in altri tempi bollava la presunta ingerenza della Chiesa nelle faccende italiane con parole come queste: «Il sorriso di Ruini si accentua sino a tingersi di scherno, quando respinge l’accusa d’ingerenza nell’agenda politica. (…) In questo Ruini ha comportamenti sovversivi che singolarmente lo apparentano alla figura di Berlusconi». E in altra occasione, spiegava: «Il laico è colui che tra Chiesa e Stato sente di dover erigere, come diceva Thomas Jefferson, un alto muro di separazione».

Secondo la Spinelli, «forse basterebbe che un alto prelato vada da Berlusconi, minacci l’arma ultima, la renda nota a tutti». Una specie di “verrà un giorno” di manzoniana memoria, dove però l’umile frate è sostituito da un ben più autorevole – per la Spinelli – “alto prelato”, insomma un pari grado del Presidente del Consiglio: un frate non basta. Chissà se si tratta di un’inconscia forma di clericalismo o se per la giornalista la Chiesa è autorevole solo quando esibisce e fa pesare un potere tutto politico (e per questo Camillo Langone, sul Foglio, l’ha elogiata, riconoscendo in lei una sostenitrice del potere temporale della Chiesa).

Altri meglio di me potranno spiegare alla Spinelli che la scomunica non è un’arma contundente che la Chiesa lancia contro peccatori ostinati. Ma la verità è che, se potesse, la Spinelli scomunicherebbe lei stessa le gerarchie vaticane: è troppo indignata per la resistenza opposta dalla Chiesa a lasciarsi strumentalizzare. E così lascia intendere che, se la Chiesa tace, è perché è corrotta, attaccata al potere e ai privilegi. La Spinelli vorrebbe vedere la condanna pubblica del peccatore, è rabbiosa perché la Chiesa – che lei disprezza – non si unisce al pubblico linciaggio di un uomo politico. Se potesse, urlerebbe “al rogo”, e plaudirebbe alle fiamme. È il laicismo inconsistente e partigiano di chi è perfettamente disposto a bruciare Giordano Bruno se questi è un avversario politico. È stupefacente vedere editorialisti colti e informati che rimestano nel bagaglio dei luoghi comuni sui cattolici e cercano di estrarne quello che serve, una frase qui, una là, una lettera di San Paolo, un brano del Vangelo, una reminiscenza di San Tommaso. Ma tutte le citazioni sono assemblate in modo da ignorare l’essenza della religione cattolica, ciò che la rende· diversa da tutte, e che ha consentito l’affermarsi dei principi fondamentali della nostra cultura: per esempio, intangibilità dello spazio privato della coscienza, luogo di segretezza e libertà interiore, che accomuna tutti gli uomini e li rende uguali, perché fatti a immagine di Dio. Oppure il perdono, la speranza di redenzione che anche il più incallito peccatore può nutrire, e che passa dal sacramento della confessione, di cui va difesa a ogni costo la segretezza.

Sono le chiese riformate che identificano nel peccato uno stigma sociale e pubblico: non appartiene alla cultura cattolica la famosa lettera scarlatta, il marchio che rende il peccatore riconoscibile. Vorrei ricordare che i preti confessano e sono abituati ad ascoltare con profonda compassione tutti i racconti di miserie umane: nulla che l’uomo possa fare è per loro estraneo. A Stella che interpreta come una violazione palese e sfacciata dei precetti cattolici il fatto che Berlusconi abbia fatto la comunione in qualche occasione pubblica, chiedo di informarsi meglio. Non esiste un divieto generalizzato di accostarsi all’Eucarestia per la categoria dei divorziati: le cose sono un po’ più complesse e solo il confessore può indicare se è possibile o no, nel caso particolare, fare la comunione. Non credo poi che la vera laicità sia quella che erige un muro tra credenti e non credenti, ma al contrario, quella che vive del confronto aperto, della libera critica, della conoscenza.

La Chiesa, semplicemente, sta continuando a fare il suo mestiere, innanzitutto evitando di fare politica con mezzi impropri. La Chiesa sa che per i peccati esiste il confessionale, e che i reati – quando ce ne siano – vanno riferiti ad altra autorità. Ma la rabbia antiberlusconiana, la voglia di buttare giù il Presidente del Consiglio a qualunque costo, acceca anche i più intelligenti: se non ci sono i numeri in parlamento,se l’accerchiamento giudiziario non è sufficiente, se le intercettazioni rovesciate sui giornali non servono allo scopo, se nemmeno i mercati riescono a far fuori il “mostro” Berlusconi, che lo faccia la Chiesa: per la Spinelli il lavoro sporco si può assegnare strumentalmente anche a un nemico.

(tratto da Il Tempo)