Spiragli di dialogo tra cattolici e musulmani
07 Marzo 2008
di Mirko Testa
Un Forum permanente per il dialogo islamo-cattolico: è la
proposta lanciata al termine della due giorni di incontri preparatori, il 4 e
il 5 marzo, tra cinque rappresentanti del Pontificio Consiglio per il dialogo
interreligioso e una delegazione islamica composta da cinque studiosi di
altrettante nazioni. I delegati islamici costituiscono una rappresentanza delle personalità musulmane che
nell’ottobre 2007 hanno indirizzato al Papa e ai leader di altre confessioni
cristiane una lettera per dare vita a un terreno d’intesa tra le due religioni
monoteistiche.
Al fine di approfondire la conoscenza reciproca e
approntare alcune piste per un dialogo fruttuoso i partecipanti hanno deciso di
organizzare il primo Seminario del Forum a Roma, dal 4 al 6 novembre 2008, che
prevede la partecipazione di 24 leader religiosi ed esperti per ciascuna delle parti. Il tema del
Seminario sarà “Amore per Dio, Amore per il Prossimo”, e avrà come sottotemi
“Basi teologiche e spirituali” (prima giornata) e “Dignità umana e rispetto
reciproco” (seconda giornata). L’ultimo giorno, invece, si terrà una sessione
pubblica che culminerà nell’udienza con papa Benedetto XVI. Il Forum, una sorta di “unità di crisi” per
mantenere sempre aperti i canali di comunicazione tra le due parti, si riunirà
con cadenza biennale dividendosi alternativamente tra Roma e un Paese musulmano
a scelta.
I cinque rappresentanti islamici giunti a Roma fanno parte
del gruppo di esperti coordinato dal principe di Giordania Ghazi bin Muhammad
bin Talal, presidente dell’al-Bayt
Institute for Islamic Thought, primo promotore della “Lettera dei 138” (ora
divenuti 221) protagonista dello scambio di lettere avvenuto a novembre e
dicembre dello scorso anno con Benedetto XVI, tramite il cardinale segretario
di Stato Tarcisio Bertone.
Tra questi rappresentanti spicca in ambito italiano Yahya
Sergio Yahe Pallavicini, l’imam della moschea al-Wahid di Milano, presidente
del Consiglio ISESCO per l’educazione e la cultura in Occidente e
vicepresidente della Comunità Religiosa Islamica d’Italia (COREIS). Espressione
della comunità sufi, voce autorevole di quell’islam colto, dai più definito
“moderato”, è sicuramente l’interlocutore privilegiato per autorità vaticane e
non solo (dal 2006 è consigliere del Ministero dell’Interno italiano per la
Consulta dell’Islam).
La lettera aperta “Una parola comune tra noi e voi”
(citazione di un famoso verso del Corano rivolto alla “gente del libro”, ovvero
a ebrei e cristiani) segue a un anno di distanza una lettera che, per la prima
volta nella storia, 38 personalità musulmane indirizzarono a Benedetto XVI,
dopo la memorabile lezione di Ratisbona, con l’intento di arrivare a una “mutua
comprensione”.
La “Lettera dei 138” mette in rilievo il luogo centrale
dell’amore di Dio e del prossimo nel Corano come nella Bibbia ebraica e
cristiana, con la chiara intenzione di promuovere il comune impegno per la pace
in tutto il mondo sulla base di una più profonda comprensione reciproca.
La risposta del Papa, contenuta in una lettera diffusa a
novembre, ricorda che non bisogna sottovalutare le differenze, pur mettendo in
rilievo soprattutto ciò che unisce, e incoraggia al rispetto e alla conoscenza
mutua, al riconoscimento effettivo della dignità di ogni persona umana, oltre a
manifestare sincera fiducia in un cammino di crescente accoglienza, in vista
della promozione della giustizia e della pace.
Tuttavia, i punti salienti della linea da adottare
Benedetto XVI li aveva già dettati in un passaggio del suo discorso
prenatalizio alla Curia romana del 22 dicembre 2006, quando affermava che “in
un dialogo da intensificare con l’Islam dovremo tener presente il fatto che il
mondo musulmano si trova oggi con grande urgenza davanti a un compito molto
simile a quello che ai cristiani fu imposto a partire dai tempi
dell’Illuminismo e che il Concilio Vaticano II, come frutto di una lunga
ricerca faticosa, ha portato a soluzioni concrete per la Chiesa cattolica”. A
questo proposito il papa sottolineava la necessità di “accogliere le vere
conquiste dell’Illuminismo, i diritti dell’uomo e specialmente la libertà della
fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per
l’autenticità della religione”.
Uno stile quello di Benedetto XVI, che ha improntato il
suo ministero sin dall’insediamento sulla cattedra petrina, volto a
rintracciare un terreno comune su cui fondare un dialogo con l’Islam imperniato
su un effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana, sulla conoscenza
obiettiva della religione dell’altro, sulla condivisione dell’esperienza
religiosa. La certezza del papa teologo è che una volta raggiunto questo
obiettivo, sarà possibile cooperare in modo produttivo in seno alla cultura e
alla società e per la promozione della giustizia e della pace nella società e in
tutto il mondo.
Sulla stessa lunghezza d’onda è infatti la lettera del
cardinale Bertone, del 19 novembre 2007, dove i temi di discussione proposti
sono principalmente tre: “un effettivo rispetto della dignità di ogni persona
umana”; “la conoscenza obiettiva della religione dell’altro”; “l’impegno comune
alla promozione del rispetto e dell’accettazione reciproci tra i giovani”.
Viceversa, la lettera di risposta del principe di Giordania, del 12 dicembre,
insiste perché il dialogo cattolico-musulmano sia primariamente “teologico” e
“spirituale” e abbia come oggetto l’unicità di Dio e il duplice comandamento
dell’amore di Dio e del prossimo.
Quindi, se da una parte si registra un’apertura
considerevole nei rapporti intessuti tra Islam e Cattolicesimo, quello che si
ricava dallo scambio di lettere tra il cardinale Bertone e il principe di
Giordania è la distanza tra le due parti e un mancato accordo sui temi da
mettere al centro del confronto.
Infatti, sull’effettivo rispetto della dignità di ogni
persona umana, espressa dai diritti umani, e che presuppone la tutela della
libertà di coscienza, l’uguaglianza tra uomo e donna, tra credente e non
credente, e la distinzione tra il potere religioso e quello politico, non c’è
un accenno chiaro nella Lettera dei 138.
A questo proposito, una assoluta autorità in fatto di
rapporti tra Islam e Cristianesimo, padre Samir Khalil Samir, direttore del
Centro di Documentazione e Ricerche Arabe Cristiane (CEDRAC) di Beirut, in un
articolo pubblicato dall’agenzia “AsiaNews”, il 9 gennaio scorso, ha
espresso perplessità sulla reale volontà delle personalità musulmane in
contatto con il papa, di affrontare questioni fondamentali e concrete, come i
diritti dell’uomo, la reciprocità, la violenza “per arroccarsi su un
improbabile dialogo teologico ‘sull’anima e Dio’”.
A lui aveva fatto eco l’analisi critica di un altro padre
gesuita, Christian W. Troll. In un
articolo apparso alla fine dello scorso anno sulla rivista “La Civiltà
Cattolica”, le cui bozze ricevono l’autorizzazione della Segreteria di Stato
prima di essere date alle stampe, il sacerdote aveva notato l’assenza di
moltissimi rappresentanti di alcune correnti islamiche, tra cui nomi eminenti
come Tariq Ramadan e Yusuf al-Qaradawi – che si collocano nell’area dei Fratelli
Musulmani –, oppure lo sceicco dell’Università egiziana di Al-Azhar,
Muhammad Sayed Tantawi, la più alta autorità
teologica dell’Islam sunnita.
Allo stesso tempo padre Troll aveva sottolineato che per
gli autori della lettera, “Maometto, la sua vita e la spiegazione che egli ha
dato dei precetti di Dio contenuti nel Corano (ahkam) costituiscono
ancora il criterio assoluto per interpretare correttamente il comandamento
fondamentale dell’amore di Dio e del prossimo”.
Infine, aveva affermato, giustamente, di non capire come
l’atteggiamento aperto riflesso nella sura medinese, che dà il titolo
alla lettera aperta dei 138 leader musulmani, “si possa conciliare con quello
intollerante di altre sure posteriori” e con il diverso modo di tradurre
nel tessuto vitale delle società pluraliste il duplice comandamento dell’amore
nelle due religioni. Pensiamo solo alla estensione della legge coranica (sharìa)
o al dibattitto sui diritti umani e sui rapporti fra Stato e religione.