Sprofondo rosso: Renzi, le casse vuote del Pd e il debito che sale
15 Giugno 2017
di Carlo Mascio
“Ragazzi, abbiamo un problema”. Immaginiamo che qualcuno abbia esordito così ieri alla Direzione del Partito Democratico. Una Direzione, tra l’altro, poco pubblicizzata e poco partecipata. Una trentina di persone in tutto. Tanto che in molti erano collegati addirittura per via telematica. Assente, a quanto pare, anche Matteo Renzi. Che cosa è successo? Il “problema” in realtà non è da poco: i conti del partito sono “in rosso”, colore che, in questo caso, non suscita nessun entusiasmo in casa Dem. A maggior ragione se il deficit, che ammonta a circa 9 milioni e 465.745 euro, è dovuto in gran parte alle spese folli del Pd per la campagna per il referendum costituzionale del 4 dicembre scorso, che poi è andato come è andato.
Esattamente per la campagna del comitato “Basta un sì” il Pd ha speso 11.671.873 milioni di euro. Cifra che, se confrontata con i rendiconti dei gruppi parlamentari appena pubblicati, sale a quota 14 milioni di euro, quattro in più – giusto per capirci – di quanto al Nazareno si spese per la campagna elettorale delle Politiche del 2013. E meno male che i vertici del partito nei mesi scorsi predicavano sobrietà al riguardo: “spederemo al massimo 6 milioni” dicevano. Peccato che i numeri dicono altro. E non è tutto. Perché a questi si dovrebbero aggiungere le spese e le elargizioni “a pioggia” sostenute in modo indiretto dal Governo Renzi nei mesi della campagna referendaria con i soldi dei contribuenti pur di racimolare consensi per il Sì. Si pensi alla tournèe dell’allora ministra delle Riforme Maria Elena Boschi in Sud America, spacciata per “viaggio istituzionale” ma finalizzata a fare campagna in vista del referendum. Tournèe costata ben 10mila euro. Oppure alle promesse del governatore della Campania De Luca che ad oltre 300 sindaci, riuniti per una kermesse elettorale per il referendum da lui presieduta, assicurava: “Fate votare Sì. Renzi manda fiumi di soldi” oltre a quelli già erogati per la Campania e puntualmente snocciolati dal governatore.
Insomma, i numeri in gioco sono da capogiro e rendono ragione, anzitutto, della sproporzione delle forze in campo per la battaglia referendaria, con un fronte del Sì che poteva contare su risorse e strutture organizzative anche governative e un fronte del No che tutto questo non l’aveva certo a portata di mano. Una lotta della serie “Davide contro Golia”, dunque, che alla fine ha conservato lo stesso finale del noto brano biblico. Numeri che, però, fanno emergere con chiarezza anche un altro elemento, ovvero quanto Renzi sia discepolo della falsa filosofia secondo cui “la comunicazione in politica è tutto”. Non fa niente se mancano atti o fatti concreti. L’importante è parlare, promettere, lanciare slogan ammiccanti, fare campagne comunicative ben studiate. L’annuncite renziana, per intederci, che per l’occasione era stata seguita da quel Jim Messima, pagato anche lui uno sproposito, che, però, ultimamente non ha certo brillato per i suoi successi (provate a chiedere di lui alla Clinton o alla May e vedete cosa vi rispondono).
Conclusione: le casse del Pd piangono. E, ora come ora, il partito non avrebbe le risorse per sostenere la campagna elettorale per le Politiche (il voto anticipato è saltato anche per questo?). Ma probabilmente Renzi ha un certo feeling con i “buchi di bilancio” dato che anche il suo Governo ha fatto registrare un aumento del debito pubblico di circa 135 miliardi di euro. Debito che, come ricordano oggi i dati Bankitalia, ha fatto registrare un nuovo record negativo. Stando così le cose, viene ancor più difficile pensare come il Pd a guida renziana possa assumersi il compito di risanare le finanze nazionali quando i suoi dirigenti, Renzi in primis, non sono stati capaci di gestire al meglio nemmeno le risorse del partito.