Stavolta il Meeting è un’occasione persa
27 Agosto 2015
L’esodo biblico dei migranti verso l’Europa, che sta costruendo nuovi muri come per proteggersi da un’invasione, e insieme la guerra che incendia il Medio Oriente, con le bandiere nere del Califfato che estende il proprio dominio, sterminando popoli e cercando di estirparne le radici e cancellarne le origini, dall’antichissimo monastero cattolico di Mar Elian, in Siria, del V secolo, fino al magnifico sito di Palmira, ridotto a teatro delle uccisioni più barbare, a partire da quella del suo storico custode,
Asaad, e che ora è stato privato di uno dei suoi templi simbolo, raso al suolo proprio in questi giorni.
Ma anche il grande dibattito internazionale sulla famiglia e sul matrimonio, che per la prima volta nella storia dell’umanità si stanno trasformando superando la differenza sessuale: il referendum in Irlanda e la sentenza della Corte Suprema americana sono stati gli eventi simbolo, quest’anno. E la Chiesa, consapevole di questa emergenza, ha convocato ben due sinodi sulla famiglia: il primo, un anno fa, accompagnato da vivacissime polemiche interne, e il secondo del prossimo ottobre, per cui c’è una grandissima attesa, considerando che le conclusioni saranno del Papa, e quindi definitive. E piazza San Giovanni di nuovo riempita, lo scorso 20 giugno, quasi autoconvocata in nome di uno “stop al gender” che ha cercato di fare da contraltare alla proposta in parlamento di una legge sulle unioni civili.
Ma di tutto questo l’eco è stata scarsa al Meeting di Rimini. Eppure la barbara uccisione dell’anziano custode di Palmira è avvenuta proprio alla vigilia del Meeting, mentre le immagini della distruzione dell’antico monastero cattolico e del tempio bimillenario sono state diffuse proprio durante la kermesse. E se il titolo di quest’anno, prendendo a prestito un verso del poeta Luzi, evocava la “mancanza”, ecco, potremmo dire che proprio di questo si è sentita la mancanza: dei giudizi, dell’impatto e dell’incisività sul reale a cui il Meeting ci aveva abituato in tutte le sue edizioni, fin dalle prime quando, nel pieno della rivoluzione operaia dei cantieri di Danzica, ne aveva portato i protagonisti sul palco di Rimini, fisicamente.
Altri tempi, altra verve, altro slancio, quando dai padiglioni della fiera ogni anno venivano letti e discussi i fatti dei mesi trascorsi, e lanciate le sfide per quelli a venire; venivano presentati al grande pubblico personaggi altrimenti inarrivabili – da Ionescu a Marta Graham passando per Madre Teresa di Calcutta e per lo stesso Walesa, per non parlare del Papa Giovanni Paolo II e di Ratzinger, Von Balthasar…difficile fare l’elenco anche dei più significativi – oppure fatti conoscere di nuovi. Per non parlare poi della politica italiana, che con il meeting riminese inaugurava il mese dedicato alle feste di partito, pur non essendo quello del meeting un partito ma un popolo, legato alla vita di un movimento ecclesiale cattolico, quello di Comunione e Liberazione.
Non è solo questione della presenza di “grandi nomi”, quanto piuttosto di una freschezza nell’offerta culturale, e di una capacità di penetrare ed interpretare la realtà quotidiana, che solitamente era ciò che faceva del Meeting un unicum nel panorama italiano, anche per la sua chiarissima matrice cattolica.
E nei pochi incontri in cui alcune delle tematiche sopra dette – per esempio la situazione dei cristiani in Medio Oriente, o l’incontro con il Ministro degli esteri tunisino, insieme a Gentiloni – sono state affrontate, abbiamo ritrovato formule appassite e che poco hanno da aggiungere al già detto: se l’incontro fra ebrei, cattolici e musulmani sedicenti moderati (c’è stato chi ha eccepito all’invito del rettore di una moschea, segnalandone la vicinanza ai fratelli musulmani) poteva essere una proposta interessante ed utile all’indomani dell’attentato dell’11 settembre – quattordici anni fa – ha ben poco da dire adesso che le bandiere nere dell’Isis svettano nelle coste libiche di fronte a noi.
Così come appare a dir poco velleitario il richiamo alla testimonianza come modalità di risposta alle violenze a cui stiamo assistendo, quando purtroppo ce ne viene offerta in abbondanza, quotidianamente, dai martiri cristiani in oriente, sgozzati in diretta streaming con il nome di Gesù sulle labbra. Nessuno va in soccorso della mattanza dei cattolici, e colpisce che dal Meeting non sia emersa alcuna proposta a riguardo, non solo politica – per esempio un appuntamento internazionale, una iniziativa umanitaria – ma anche solamente per smuovere le coscienze – come sarebbe potuta essere una grande marcia che arrivasse alla sede delle Nazioni Unite a Ginevra, e magari, contemporaneamente a New York, o una giornata di preghiera e digiuno per i perseguitati e i nuovi martiri, o anche forme di solidarietà con popolazioni tanto provate.
Ma, al contrario, l’impressione è stata quasi quella di una certa attenzione ad evitare qualsiasi espressione che suonasse anche lontanamente bellica. L’educazione come arma pacifica in risposta alle contrapposizioni rischia di appare un pio proposito, se rimane una manifestazione di intenti che non si accompagna a nessun tipo di proposta, neppure di preghiera pubblica. Proposito astratto, quindi, inadeguato a rispondere alle atrocità del presente, anche solo a pensare alla sorte delle donne in mano all’esercito islamico del califfato.
E su tutt’altro fronte, il richiamo alla sussidiarietà e al “più federalismo” fatto alla viglia del Meeting da uno dei suoi dirigenti rischia di essere un disco rotto se non tiene minimamente conto del fallimento, per esempio, della sanità regionale in Italia, o del fatto che un terzo del lavoro della Corte Costituzionale riguarda i contenziosi fra stato e regioni.
Sui motivi di tale evidente cambiamento del Meeting, non spetta a noi pronunciarci. Ma spiace vedere che uno degli appuntamenti più attesi dell’anno, che finora si è sempre distinto, nettamente, dalle miriadi di festival che oramai inondano la penisola, si sia trasformato quest’anno in un’occasione persa.