Storia del separatismo siciliano tra il 1943 e il 1947
05 Luglio 2009
Sempre a proposito del volume “Gli anni della rabbia. Sicilia 1943-1947” di Sandro Attanasio, appena ristampato per i tipi di Mursia, un capitolo quasi a sé è costituito dall’avventura del separatismo. Il racconto prende le mosse dalle trame dei futuri leader precedenti lo sbarco alleato che fa il paio con l’iniziale propensione indipendentista del grosso del nuovo ceto politico locale. Poi si parla delle troppe guerre intestine che dilaniano il personale antifascista dell’isola. I diccì alla testa dello schieramento unitario, i comunisti più divisi di quanto si tenda a credere, mentre il Mis si organizza e sembra raccogliere adesioni sempre più vaste. Alla testa dei separatisti è Andrea Finocchiaro Aprile, ex parlamentare nittiano, massone di vaglia, con ottime entrature in certi circoli di spicco londinesi.
Fanno compagnia al maturo politico prefascista gruppi autorevoli di esponenti delle alte sfere isolane. La sezione palermitana è costituita da un pezzo significativo dell’aristocrazia cittadina, capeggiata da Lucio Tasca Bordonaro, neo sindaco su nomina alleata del capoluogo di regione. Non differenti caratteristiche hanno gli altri nuclei provinciali, dove perlopiù a farla da padroni sono i rampolli delle migliori casate nobiliari indigene. A Catania, accanto ai rappresentanti dell’alto bordo, c’è qualcosa di originale: un gruppuscolo, guidato da Antonio Canepa, prof di dottrine politiche all’università, che medita di passare all’azione. Attanasio segue per filo e per segno la turbolenta evoluzione della situazione. Si sofferma su ambiguità e incertezze dello stato maggiore separatista. A partire dalle troppe differenti aspirazioni ideologiche che agitano base e vertici del movimento. E’ il caso dall’avventura guerrigliera finita in malo modo con tanto di agguati polizieschi, e dai contorni dubbi. Vittima illustre, il leader carismatico Canepa.
C’è poi la faccenda del rapporto con le bande e con Salvatore Giuliano in particolare. Attanasio difende la primula rossa di Montelepre. Sostiene che il suo sicilianismo è sincero. Tanto che al bandito non sono imputabili vere scorrettezze nei confronti della causa. C’è però la vicenda di Portella della Ginestra e la strage eseguita dalla banda contro inermi lavoratori che festeggiavano il primo maggio. In proposito, il punto di vista di Attanasio è descrittivo, insinuante e, in ultima istanza, problematico: “Non si è mai potuto sapere il motivo per il quale Giuliano organizzò l’agguato di Portella. Contro povera gente, contadini che, per aiutarlo, s’erano sempre trincerati dietro un’impenetrabile muro di silenzio… Giuliano aveva spiegato per lettera che l’agguato si prefiggeva la cattura e l’uccisione di Li Causi… Ma si disse che Li Causi era stato avvertito da Giuliano, tramite lettera” e che “lo stesso Li Causi avrebbe potuto avvisare senz’altro quelli Portella della Ginestra… Il posto di Li Causi, come oratore a Portella, doveva essere preso da un altro comiziante ufficiale, il sindacalista Renda… Ma nemmeno Renda fu presente a Portella, perché quella mattina… ebbe un ‘fortunato’ incidente con la motocicletta… I mandanti della strage furono di volta in volta indicati in agrari uomini politici o di governo… Avvenne un nutrito scambio di denuncie, di controdenunce e di querele”. Querele e denunce dall’incerto seguito: tutte archiviate in fase istruttoria. Portella, però, mette la parola fine ad ogni residuo sussulto separatista, mentre nell’isola si inaugura la lunga stagione della regione a statuto speciale.