Storia e avventure del John Edgar Hoover dello spionaggio italiano

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Storia e avventure del John Edgar Hoover dello spionaggio italiano

02 Giugno 2010

E’ in uscita Il cuore occulto del potere. Storia dell’ Ufficio Affari riservati del Viminale ( Nutrimenti editore),  un libro interessante dello storico Giacomo Pacini che, come naturale visto il tema, scandaglia a fondo una delle figure più controverse dello spionaggio nazionale, Federico Umberto D’ Amato, colui che da molti osservatori è stato definito come il John Edgar Hoover tricolore. Il volume, racconta l’autore, nasce da un’esigenza storiografica di fondo: non ci si può occupare della storia d’Italia nel periodo della "Guerra fredda" senza narrare il ruolo primario avuto dai servizi segreti, magari evitando d’incorrere nel vizio della dietrologia. Abbiamo posto a Pacini alcune domande sul suo lavoro.

Federico Umberto D’Amato deve molto al leggendario James Angleton? Ritiene che quella buona scuola ne abbia affinato le doti?

Assolutamente sì. Ho avuto modo di rinvenire un vecchio documento dell’estate 1945 con il quale Angleton ringraziava l’allora giovanissimo D’Amato per “l’incalcolabile aiuto, i particolari del quale non possono essere precisati per ragioni di sicurezza”, offerto allo X2 americano che, all’epoca, aveva sede a Roma in via Sicilia. Il che dimostra quanto stretto fu il loro legame fin da allora. A fine anni anni Ottanta, poi, in una intervista rilasciata al suo “amico” Mario Tedeschi, D’Amato esaltò Angleton (deceduto pochi giorni prima), ricordandolo come una sorta di  maestro.

Come visse "Umbertino", come lo chiamavano certi amici, la rimozione, dopo la bomba esplosa a Brescia in Piazza della Loggia?

Dopo la strage di Brescia venne mandato a dirigere la Polizia di Frontiera. Pur continuando, tuttavia, a svolgere per molti anni incarichi di alta consulenza in materia di polizia politica al servizio dei ministri dell’Interno e conservando i suoi incarichi all’interno del Club di Berna. Di fatto, fu una rimozione solo di “facciata”, che Taviani attuò per dare un “osso” all’opinione pubblica dopo le violente contestazioni che i rappresentati delle Istituzioni avevano subito il giorno dei funerali delle vittime della strage.

Sappiamo dell’iscrizione di D’Amato alla P2. Ha ragione di ritenere che sia stato vicino ad altre logge massoniche, magari internazionali?

Non esistono prove documentali di altre sue affiliazioni. Quanto alla iscrizione alla P2, in una polemica lettera riservata che inviò a Rognoni nell’estate del 1981 (dopo che questi lo aveva “invitato” a giustificare i suoi rapporti con Gelli), scrisse di aver avvicinato il Venerabile esclusivamente per ragioni legate al suo lavoro di “spione” e che, se per questa ragione doveva essere considerato un “pidduista”, allora Rognoni lo avrebbe dovuto considerare anche un fiancheggiatore del terrorismo di destra e di sinistra, un emissario del KGB o un amico dei terroristi palestinesi, visto che, come ogni “barba finta” degna di questo nome, aveva necessariamente dovuto prendere contatti con gli ambienti più disparati.

Pensa che il "superpoliziotto" nato a Marsiglia abbia servito soprattutto gli interessi dell’Italia, nella fedeltà all’alleanza strategica nota, o possa aver risposto ad obbedienze differenti o superiori?

Molte testimonianze, tra cui quella del noto Peter Tompkins, definiscono D’Amato uno dei principali emissari della Cia in Italia. Taviani, in realtà, in una audizione in Commissione stragi (tenutasi in seduta segreta) disse che definirlo un uomo degli americani era una banalizzazione e che, semmai, stretti rapporti li aveva avuti con lo Sdece. Lo stesso D’Amato, in una audizione in Commissione P2, negò di essere stato un uomo degli americani, affermando, ironicamente, di aver visitato gli Usa solo una volta nel 1963. Personalmente ho sempre trovato non del tutto convincenti le teorie che volevano i nostri uomini dei servizi legati ad una sorta di doppia obbedienza; alla Costituzione, ma soprattutto al sistema internazionale in cui l’Italia era inserita. E le trovo ancor meno convincenti riguardo a D’Amato che era figura che godeva di grande prestigio a livello internazionale, tanto da diventare il primo non militare ammesso al cosiddetto USPA, il che voleva dire, tra le altre cose, che, grazie a lui, anche l’UAR ebbe l’abilitazione alla concessione del cosiddetto Nos (fino ad allora di competenza esclusiva del capo del Sifar). Taviani ha ricordato che, per convincere gli americani ad ammettere un “non militare” all’USPA dovette faticare moltissimo. Il che dimostrerebbe come, in effetti, sia limitativo verso la figura di D’Amato ritenere che egli rispondesse a istanze superiori a quelle nazionali.

L’ex Direttore dell’Ufficio Affari riservati del Viminale fu uno dei protagonisti del famoso Club di Berna. Quale importanza crede abbia avuto nelle dinamiche degli anni sessanta?

Di fatto fu il creatore del Club di Berna, organismo che operava al di fuori della Nato, tanto da provocare forti malumori (riscontrati in vari documenti) ai servizi americani (il che, ancora una volta, dimostrerebbe “l’autonomia” di Umbertino) i quali, a lungo, lamentarono di essere “esclusi” da quelle riunioni in cui si ritrovavano i principali rappresentati delle polizia europee. Non saprei dire con certezza quale fu la sua importanza nelle dinamiche degli anni sessanta; certo è che vi sono documenti da cui risulta che negli incontri del Club di Berna venne teorizzata la necessità di una infiltrazione nei gruppi eversivi di sinistra da parte di agenti di polizia. Il che è cosa normale, se non fosse che, in certi casi, si arrivava anche a teorizzare la possibilità che l’eventuale infiltrato potesse anche essere uno specialista in uso di armi ed esplosivi. Circostanza che, sebbene non vi sia alcuna prova documentale in tal senso, può far sorgere qualche dubbio sul confine che vi è tra una legittima infiltrazione ed un’opera di provocazione. Perplessità inoltre suscita il fatto che non vi sia alcun verbale del Club di Berna in cui si parla della strage di Piazza Fontana. E’ documentata una riunione nel settembre 1969 (in cui si citano gli attentati ai treni dell’agosto 1969) e poi, fino al giugno 1970, non vi è alcun documento. Ho avuto qualche difficoltà a trattare questi argomenti nel libro, perché il rischio di fare illazioni non supportate da prova era forte; ma, in effetti, stupisce che un organismo che riuniva i principali servizi europei competenti in materia di terrorismo politico, non si sia mai riunito per discutere del principale attentato di matrice politica avvenuto in Europa dal 1945 in poi, la strage di Piazza Fontana.

Intravvede, tra gli operatori attuali delle forze di sicurezza nazionali, un "erede" di Umberto D’Amato?

Come scrivo nel libro, credo che D’Amato sia stato “un uomo del suo tempo” e che, alla resa dei conti, non vi possa essere un vero e proprio erede, visto che il contesto odierno, le priorità, le metodologie, sono del tutto diverse da quelle dell’epoca in cui egli operava.

Chiudiamo con una delle più eloquenti dichiarazioni dello 007 defunto nel 1996: " Un vero spione tiene un piede dentro alla legalità e tre fuori. Ma non si fa mai beccare".

Una lezione che pochi hanno imparato a dovere.