Storia e martirio dei cattolici di Spagna beatificati da Benedetto

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Storia e martirio dei cattolici di Spagna beatificati da Benedetto

28 Ottobre 2007

Oggi 28 ottobre, in piazza San Pietro, la Chiesa beatifica quattrocentonovantotto martiri della «persecuzione religiosa in Spagna». La cifra è così imponente, persino strabiliante, che da sola impone una riflessione e condiziona la valutazione degli accadimenti storici all’origine di tale bagno di sangue.

I quattrocentonovantotto del 28 ottobre si aggiungono ad una folta schiera di martiri già riconosciuti, quattrocentosettantanove, e saranno seguiti da altri migliaia di «candidati» alla beatificazione, i cui processi sono in stato avanzato. Ce n’è abbastanza, sembra, per poter dire che quello che si consuma nella Spagna degli anni 1930 è un vero e proprio «assalto al cielo» , e che la reazione è piuttosto una cruzada  che la difesa di uno specifico ordine socio-economico, ancorché sia stata anche e l’una e l’altra.

Con la vittoria delle sinistre unite nel «Fronte Popolare» alle elezioni del febbraio 1936 la situazione spagnola, da tempo pre-rivoluzionaria, precipita. Nei pochi mesi che vanno dal febbraio al giugno 1936 si contano 269 uccisi, 1287 feriti, 251 chiese incendiate o profanate, di cui 160 completamente distrutte. Numerosissime sono le sedi dei partiti di destra devastate, le proprietà dei militanti distrutte o danneggiate, gl’imprigionamenti pretestuosi ed illegittimi. Il 12 luglio 1936 viene prelevato e barbaramente ucciso dalle Guardias de Asalto, una milizia istituita dai governi di sinistra come contraltare alla Guardia Civil ritenuta prevalentemente di orientamento monarchico e conservatore, il deputato monarchico José Calvo Sotelo (1893-1936). È quella che di solito si definisce «la goccia che fa traboccare il vaso». Il 17 luglio nel Marocco spagnolo, il 18 luglio nel territorio metropolitano, un gruppo di alti ufficiali dell’esercito si solleva contro il governo del Fronte Popolare. L’Alzamiento ed il conseguente conflitto vengono compresi come «crociata» in difesa della Fede, come dichiara presto Francisco Franco Bahamonde (1892-1975): «La nostra non è una guerra civile [ …] ma una crociata […]. Sì, la nostra è una guerra religiosa. Noi combattenti, non importa se cristiani o mussulmani, siamo soldati di Dio e non ci battiamo contro gli uomini ma contro l’ateismo e il materialismo».

La persecuzione, allora, si fa tremenda. Non più solo le leggi, non più solo la violenza diffusa contro i suoi edifici, i suoi simboli, i suoi uo-mini e le sue donne, ma una vera e propria sistematica volontà di cancella-re il cristianesimo dalla Spagna eliminando i cristiani, di realizzare con ogni mezzo quello che sembra piuttosto un proposito che una constatazio-ne – «España ha dejado de ser católica» –, fanno della Chiesa spagnola di quegli anni una Chiesa martire. La cifra della II Repubblica spagnola è il martirio dei credenti: essa è animata dall’odio satanico  contro Dio ed i suoi servi.

È noto che non la pena, ma la causa fa i martiri. E tali sono, per la Chiesa coloro che vengono uccisi in odium fidei, o in odium Christi, o in odium Ecclesiae, e accettano la morte volontariamente e per amor di Dio, perdonando i loro carnefici. Dunque, oltre le disposizioni morali della vittima, oggettivamente se c’è un martire, c’è un odiatore attivo di Cristo, della Fede, della Chiesa. Se il martirio è diffuso nello spazio, se grande è il numero delle vittime, se è duraturo nel tempo, allora esso è l’effetto di una persecuzione organizzata. Nella Spagna di quegli anni, a giudizio di mons. Antonio Montero Moreno, vescovo emerito di Badajoz, si è verificato un episodio senza precedenti – neppure al tempo delle persecuzioni romane – nella storia della Chiesa universale: il sacrificio cruento (non senza accanimento, torture, mutilazioni e, più in generale, ricorso a modalità particolarmente crudeli ed efferate), che ha assunto il carattere di un’autentica strage, in poco più di un semestre ed in un territorio limitato, di quasi settemila tra vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose. E gli ecclesiastici, secondo lo stesso mons. Montero, non sono che una modesta percentuale nella tremenda statistica delle vittime nella zona rossa uccise in odium fidei, cioè perchè cattoliche.

L’entità di questa persecuzione, espressione di un odio singolare, è testimoniata dal numero dei martiri già riconosciuti dalla Chiesa – che è infallibile quando canonizza – e di quelli prossimi al riconoscimento: come si è detto, fra gli uni e gli altri, quasi mille (di cui 11 già canonizzati). Innumerevoli, poi, sono gli oltraggi sacrileghi al SS. Sacramento, la distruzione o la profanazione blasfema ed iconoclasta delle chiese, degli arredi e dei vasi sacri, delle reliquie, dei luoghi di culto, dei simboli della fede, persino dei cimiteri e dei cadaveri dei religiosi. Sono noti i casi delle sacrileghe processioni burlesche che non risparmiavano l’Ostia santa (una di queste costò la vita a Toledo ad un dirigente comunista locale, che vestiva i paramenti sottratti al vescovo, ma fu, purtroppo per lui, preso sul serio da un miliziano, cui non parve vero poter piantare una pallottola in corpo all’odiato successore degli apostoli), come note sono le «fucilazioni» del S. Cuore, del Cristo del Cerro de los Angeles presso Madrid e di quello del Tibidabo presso Barcellona, nonché la riesumazione dei cadaveri mummi-ficati di suore esposti al pubblico dileggio a Barcellona, ed in altre città della zona rossa.

«Contrariamente a quel che si può credere, la distruzione delle chiese spesso non fu affatto l’effetto di una irrefrenabile furia popolare, ma un’operazione sistematica, deliberata dalle autorità locali repubblicane come un semplice atto amministrativo. Così, ad esempio, stabilì la giunta comunale di Castellón de la Plana a proposito della Iglesia Mayor, per la cui demolizione si consideravano, secondo quanto è restato agli atti del consiglio, “più importanti le ragioni morali di quelle di ordine materiale, (giacché) quella casaccia rappresenta qualcosa di così infame che è assolutamente urgente che si proceda al suo abbattimento”».  Né la persecuzione può essere giustificata – se mai si potesse – come reazione all’Alzamiento: essa inizia nel 1931, i primi martiri riconosciuti sono del 1934 in occasione dell’«ottobre rosso» asturiano, l’«olocausto»  vero e proprio si consuma nel 1936, con propaggini fino al 1939, a guerra ormai perduta, testimonianza ultima di un odio inestinguibile. «È un agire dominato dall’ossessione di un morbo epidemico che reclama misura di radicale disinfezione. Come osservava una poetessa inglese, Sylvia Townsend Warner [1893-1968], dopo aver visitato cosa restava delle chiese di Bar-cellona, esse “erano state pulite esattamente come si fa con la camera di un malato dopo una pestilenza. Ogni cosa che poteva conservare il conta-gio era stata distrutta”. La paura della contaminazione che emana dagli oggetti sacri ispira ai comitati rivoluzionari […] la diffusione di bandi che imponevano, spesso sotto pena di morte, la consegna di tutte la immagini, libri di pietà, rosari ed altri oggetti di culto posseduti dai privati perché fossero dati alle fiamme» .

Le parole di un ministro cattolico del governo repubblicano, il basco Manuel Irujo Ollo (1891-1981), contenute nel memorandum sulla situazione della Chiesa nel territorio controllato dalla Repubblica, da lui presentato il 7 gennaio 1937 al Consiglio dei ministri, chiariscono definitivamente, se ancora ce ne fosse bisogno, le intenzioni dei rossi: «[…] Tutte le chiese sono state chiuse al culto. Esso è pertanto totalmente sospeso» .

Sono passati settant’anni. Nessuno chiude le chiese al culto, ma esso non sembra godere di buona salute. Intanto, Zapatero continua ed attua, con altri mezzi, la stessa guerra contro la Chiesa, la religione, la famiglia, l’ordine morale e la dimensione sociale della verità sull’uomo. Ancora una volta in Spagna si muove un avanguardia che dà «l’assalto al cielo», assalto che, nonché respinto, si rivela perciò essere stato solo rinviato. E senza bisogno di fare martiri – il che non vuol dire che qualcuno ne avrebbe l’intenzione –, perché non incontra resistenza. Che ne è allora dell’antica sentenza secondo la quale sanguis martyrum semen christianorum est? Essa è sempre valida, purché ci sia chi non dimentichi e raccolga il messaggio e la testimonianza di chi ha versato il sangue, e non si faccia troppe illusioni sul mondo e su certi suoi rappresentanti, anche se questo può «dividere».