Stupri: chi difende le donne musulmane?

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Stupri: chi difende le donne musulmane?

10 Settembre 2017

Dopo il violentissimo stupro di gruppo avvenuto a Rimini, sembra che il problema sia tutto e solo di percentuali. Nei dibattiti e negli articoli è scattata una gara delle cifre: quanto stuprano gli italiani rispetto agli immigrati? Chi compie più violenze, in numeri assoluti o in percentuali? Dove ci sono più aggressioni alle donne, in famiglia o per strada?

A parte il fatto che i numeri sono stati spesso forniti in modo fuorviante, il problema non è solo sapere che gli immigrati, e in particolare gli appartenenti ad alcune comunità, commettono violenze in percentuale vertiginosamente maggiore degli italiani (l’ha scritto su L’Occidentale Elena De Giorgio: tra gli italiani il rapporto è uno su 40.000, tra gli stranieri uno su 6000), ma anche capire perché la stessa violenza viene trattata in modo tanto diverso nel caso che il colpevole sia italiano o immigrato. Per averne conferma, basta notare come la notizia delle accuse di violenza mosse da ragazze americane a due carabinieri siano state accolte quasi con sollievo dai media e dalla politica, con la ministra Pinotti che già dichiara che “risulta una qualche fondatezza” delle accuse, anche se deve ammettere che i fatti sono ancora tutti da accertare.

Pochissime sono le voci di donne che si levano a protestare se lo stupratore è un migrante, se è islamico, se è di pelle nera. Tutte le scuse sono buone per minimizzare, o addirittura censurare. Solo pochi giornali hanno raccontato i dettagli della violenza bestiale di Rimini, e c’è chi ha pudicamente dichiarato che si tratta di pornografia, o di violazione dei diritti degli imputati. Eppure, quando, nel 1975, ci fu la sconvolgente vicenda del Circeo, la stampa campò per mesi sul racconto minuzioso della serata, insistendo sui particolari delle violenze sessuali. Ma quel racconto, più ancora della morte di una delle due vittime, e del tentato assassinio dell’altra, assestò uno scossone micidiale alla sonnolenta opinione pubblica di quegli anni, e mise a tacere chi ancora tentava di sottovalutare lo stupro.

Contro la violenza il movimento delle donne ha combattuto strenuamente, e la presenza delle femministe ai processi per stupro era un presidio costante, per cambiare non solo la legge (era ancora un reato contro la morale, non contro la persona) ma la cultura, quella mentalità diffusa per cui la donna che subiva violenza era probabilmente una poco di buono che aveva, volontariamente o meno, “provocato” il maschio. 

E oggi? Ci saranno le femministe al processo contro la gang riminese? Ci sarà chi denuncia atteggiamenti culturali che legittimano e creano un terreno favorevole a stupri, molestie e aggressioni contro le donne? Nel mondo occidentale c’è stata una lunga e faticosa lotta contro i residui di una cultura patriarcale che considerava la violenza sessuale con indulgenza, permettendo, per esempio, che il matrimonio cancellasse il reato. Basta ricordare l’eco enorme che ebbe il “no” pronunciato da una dolce e riservata ragazza siciliana, Franca Viola, che, per la prima volta nella storia dei rapimenti e delle “fuitine” forzate che avvenivano nel nostro Sud, si rifiutò di sposare il suo violentatore, spedendolo in galera. 

Ma se oggi ci fosse una Franca Viola islamica, saremmo capaci di difenderla, di farne una bandiera, un esempio che dia speranza e coraggio alle altre? Temo che le uniche a difenderla sarebbero donne intrepide e anticonformiste come Souad Sbai, e magari qualche deputata di destra, e che la poveretta si troverebbe isolata e censurata. Peggio: probabilmente le Franca Viola maghrebine, congolesi, pakistane, ci sono state, ma noi non ce ne siamo nemmeno accorti. Il loro coraggio è stato coperto dal silenzio, dal velo soffocante, e talvolta omicida, del politicamente corretto, e temo che tante tragedie femminili nelle comunità straniere si siano consumate nell’assoluta solitudine, senza spettatori, senza una sola mano tesa per dare aiuto e solidarietà.