Su Alitalia serve il pugno di ferro
12 Novembre 2008
Qualche giorno fa, a Torino, ha chiuso i battenti un importante stabilimento della Motorola: circa quattrocento dipendenti hanno perso il loro lavoro. Sempre nelle scorse settimane, il gruppo immobiliare Gabetti ha tagliato cinquecento lavoratori, il fallimento di Lehmann Brothers ha comportato la disoccupazione di centocinquanta dipendenti in Italia, persino la Croce Rossa lascerà a casa dieci lavoratori da gennaio.
Di storie come queste, nel nostro paese, ce ne sono molte: storie di non-piloti e di non-hostess, storie non di Alitalia ma di Altritalia, vicende di cui la politica non si occupa, se non in modo marginale. E per fortuna: il compito di chi fa le leggi dovrebbe essere il disegno complessivo di un sistema – quali regole nel mercato del lavoro, quali ammortizzatori sociali, quali politiche per promuovere l’occupazione – e non le sorti di una singola azienda e dei suoi pur disgraziati lavoratori. La crisi finanziaria si è ormai fatta sempre più “reale” e dal governo ci si aspettano azioni in grado di permettere all’economia di ripartire: riduzione del carico fiscale per le imprese e i lavoratori, riforme del welfare e del mercato del lavoro, liberalizzazioni. Con tutto quanto c’è da fare, non pare proprio il caso che le attenzioni del governo siano ancora assorbite dalle vicende sindacali dei dipendenti di Alitalia.
Gli eventi degli ultimi giorni, con gli scioperi selvaggi che hanno paralizzato il trasporto aereo, rubando tempo e soldi a centinaia di migliaia di passeggeri, rappresentano un grave episodio di irresponsabilità sindacale: dopo mesi di trattative, un esborso senza eguali di danaro pubblico per il salvataggio del vettore aereo e la previsione di ammortizzatori sociali semplicemente impensabili in altri settori lavorativi (chiedete ai poveri ingegneri della Motorola), la posizione oltranzista di queste frange minoritarie del sindacato alitaliota appare offensiva nei confronti dell’Italia, dei lavoratori e dei contribuenti. E’ in situazioni come questa che si chiede alla politica, al Governo e al Parlamento, di riappropriarsi in pieno della funzione di rappresentanza degli interessi dei cittadini, ponendo fine alla “dittatura di minoranze irresponsabili – come le ha definite ieri Franco Locatelli sul Sole 24 Ore – che disprezzano la democrazia e che offendono l’immagine del Paese”.
Evitato, tra luci ed ombre, il fallimento della compagnia di bandiera, il Governo ha il dovere di riconoscere ora il fallimento del sistema della rappresentanza sindacale e delle relazioni industriali. Lo sciopero selvaggio degli ultimi giorni è stato provocato da una minoranza di lavoratori ma la responsabilità di quanto sta avvenendo ricade sul sindacato confederale, sulla inadeguatezza di queste organizzazioni multisettoriali di lavoratori, sempre meno rappresentative e credibili agli occhi dei singoli lavoratori (che subiscono il “fascino” e il richiamo di sedicenti e irresponsabili comitati di base e di lotta). Il pugno duro che il Governo ha mostrato in questi giorni non va allentato: per la prima volta in sessanta anni, probabilmente c’è oggi nell’opinione pubblica il clima adeguato per mettere mano ad una riforma della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, che consenta di individuare e di ammettere alle trattative solo il sindacato o la coalizione sindacale che raccoglie la maggioranza dei consensi, al livello aziendale e ai livelli superiori. E’ la proposta di Pietro Ichino, non di Confindustria o di un deputato oltranzista di centrodestra, e sarebbe alquanto paradossale se fosse il Partito Democratico ad opporsi ad una tale iniziativa.
Rispetto al trasporto aereo, il settore necessita di interventi strutturali e non di attenzioni particolari. Il piano della Cai prevede un “ripiegamento” verso il mercato dei voli nazionali rispetto ad Alitalia. Per il sistema aeroportuale ed economico territoriale questo rappresenta un evidente fattore di debolezza che farà sentire i suoi effetti nei prossimi anni. Eppure l’Italia ha una miniera d’oro che non sfrutta. Malpensa è uno dei pochi aeroporti intercontinentali in cui ancora abbondano gli slot, a differenza di altri scali europei ormai giunti alla piena saturazione. Se il Governo volesse, potrebbe aprire un importante piano di liberalizzazione delle rotte euroasiatiche e fare di Malpensa un importante hub dei voli proveniente da Oriente. Sarebbe una partita “aggressiva” nei confronti degli altri paesi europei, a partire dalla Francia e dalla Germania, una partita che sarebbe stata probabilmente preclusa dall’eventuale acquisto di Alitalia da parte di Air France o di Lufthansa.