Su Dell’Utri Caselli invoca l’intervento del Csm? Sì, ma a difesa del Pg

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Su Dell’Utri Caselli invoca l’intervento del Csm? Sì, ma a difesa del Pg

12 Marzo 2012

“Il crescendo rossiniano di aggressioni di colleghi magistrati nei confronti del sostituto pg della Cassazione dottor Iacoviello culmina con l’invocazione da parte di Giancarlo Caselli, senza troppi giri di parole, di un’iniziativa disciplinare e dell’intervento del Csm”. E’ il commento di Gaetano Quagliariello sulle polemiche dopo la sentenza Dell’Utri.

Il vicepresidente dei senatori Pdl osserva: “Riaffiora evidentemente la tentazione di considerare il Consiglio superiore della magistratura non organo di autogoverno ma camera di compensazione politica nella quale tutelare gli ‘allineati’ anche a fronte di comportamenti scorretti e punire gli ‘eretici’ che osano interpretare il proprio ruolo seguendo la legge e la Costituzione. Nel dare atto all’attuale Csm di aver recuperato una più corretta dimensione istituzionale, praticando maggiore continenza nelle cosiddette ‘pratiche a tutela’ e assumendo alcune decisioni che pur nella loro sobrietà in altri tempi sarebbero apparse impensabili, l’impressione è che se in questo caso materia di intervento vi sia, esso debba semmai essere in difesa di un magistrato oggetto di attacchi e aggressioni inusitate ad opera di colleghi per atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni e peraltro in linea con la recente giurisprudenza della Cassazione. E in ogni caso, è singolare la richiesta di Caselli che venga disciplinarmente inteso e punito un classico caso di interpretazione del diritto, che per norma positiva non può dar luogo a responsabilità disciplinare.

Il fatto poi che il dottor Caselli si scandalizzi perché a criticare l’attuale configurazione del concorso esterno sia un rappresentante della pubblica accusa – afferma Quagliariello – è indicativo della concezione che egli ha di pubblica accusa, la quale – lo ricordiamo – è ‘pubblica’ proprio in quanto tenuta a valutare i fatti nella loro oggettività, come addebito o a discolpa, e non a sposare teoremi in nome dei quali costruire ipotesi di reato e plasmare le evidenze processuali. Quanto infine all’evocazione di Giovanni Falcone, difficilmente egli avrebbe inteso il concorso esterno come arma impropria per abbattere ad ogni costo gli avversari politici, tant’è vero – conclude il vicepresidente dei senatori Pdl – che coltivava la buona abitudine di incriminare per calunnia i pentiti scoperti a mentire”.