Su tasse e crescita il governo faccia pace con se stesso
19 Giugno 2017
di Carlo Mascio
“Abbiamo davanti a noi un’occasione straordinaria: l’Italia si è agganciata, anche se a fatica, all’andamento della crescita europea e abbiamo bisogno di una spinta anche nel mercato interno”. A parlare è il premier Paolo Gentiloni che ieri, in visita a Pesaro, è tornato a parlare di crescita economica, tema già affrontato anche dal ministro Padoan: “C’è un dialogo tra capi di governo di Francia, Germania e Italia per portare avanti idee comuni per la crescita”. Probabilmente, ‘qualcuno’ dal Nazareno ha inviato al governo un messaggio chiaro: dovete parlare di crescita. Il solito mantra renziano, insomma: “Cresciamo poco ma cresciamo”. Detto, fatto.
Peccato, però, che le cose non stanno proprio così. E a dirlo sono i dati. Mentre la ripresa nel resto dell’Eurozona si va rafforzando, con un ritmo di crescita del Pil attorno al 2% su base annua, l’Italia si conferma fanalino di coda: stando alle stime della Commissione Europea, il Pil italiano resta fermo allo 0,9%, che è superiore allo 0,8% stimato dal Fondo monetario, ma inferiore all’1,1% inserito dal governo nel Def. Ma non è tutto. La crescita dell’Eurozona è stata favorita dalla politica dei tassi di interesse bassi voluta fortemente dal Presidente della Bce Mario Draghi. Per cui anche la “crescita italiana”, se così si può chiamare, è stata trainata dal quantitative easing della Bce. Ma cosa accadrà al Bel Paese quando Francoforte deciderà di rialzare i tassi di interesse? Anche perché la Germania spinge da tempo per tornare ai tassi di una volta. E una svolta, in tal senso, potrebbe accadere già in autunno.
E questa non sarebbe una buona notizia per l’Italia che, in questi anni, non ha certo colto l’occasione offerta dalla Bce per risanare i conti pubblici. Anzi, se si pensa che il nostro debito è aumentato di 135 miliardi nei mille giorni di governo Renzi e che nei prossimi tre anni, stando alle ultime analisi, salirà di altri 45 miliardi, l’occasione è già bella e persa. Per cui, con tassi d’interesse più alti, risulterebbe necessario un aumento delle tasse, andando dunque a gravare ulteriormente su un’Italia dove i consumi sono tutt’altro che in ripresa, come ricorda Confesercenti: “Nonostante due anni di ripresa, i consumi finali degli italiani sono ancora abbondantemente al di sotto dei livelli registrati prima della recessione: al netto dell’inflazione, nel 2016 i consumi sono ancora inferiori del -4,8% ai livelli pre-crisi (2007), per circa 47 miliardi di euro in meno in valori assoluti”. Tradotto: la crisi in Italia continua a mordere. Altro che “aggancio alla ripresa europea” come sostengono gli alfieri dell’annuncite renziana Gentiloni & Padoan.
Ma c’è chi questa annuncite non la digerisce, tanto da essere diventato più volte bersaglio di Renzi e renziani. Stiamo parlando di Carlo Calenda, ministro dello sviluppo economico, che intervenendo davanti all’assemblea della Confesercenti ha, in certo qual modo, sbugiardato i suoi compagni di banco in Consiglio dei Ministri, Gentiloni e Padoan: “La crescita dell’Italia non è sufficiente per sostenere il debito, il welfare o lo sviluppo” ha dichiarato il ministro secondo cui non è di aiuto a nessuno “fare una discussione, tra il ridicolo e il tragico, sul fatto che sia positivo o meno che il Pil sia a 1,2%, a 1,3% o a 0,9%, se siamo usciti dalla recessione o no”. Per Calenda, i consumi si possono risollevare con un taglio delle tasse “non generalizzato” ma principalmente alle imprese.
Ed è proprio sul “capitolo tasse” che Calenda ci va giù duro: “Non abbiamo bisogno di leggi simbolo, ma di contenuti”. E ancora: “Io sono un politico pro tempore, come viene spesso ricordato da tutte le parti”, ma “dire che ci sarà un tavolo, una legge, uno statuto è il modo in cui vi fanno fessi da 30 anni, perché riempie lo spazio di una conferenza stampa e delle agende politiche”. La dichiarazione si commenta da sé e la dice lunga sul clima di “grande dialogo” che si respira tra i membri dell’esecutivo. Certo, viene anche da chiedersi dov’era il ministro Calenda quando è stato progettato il Def che, stando alle analisi di Unimpresa, prevede un aumento delle tasse di 77,3 miliardi nei prossimi quattro anni. Insomma, tra gli annunci di Gentiloni e Padoan e le reprimenda di Calenda, una cosa pare certa: i dati sull’economia italiana che continuano a non tornare.