Successi politici e demolizioni mediatiche: la storia vera di Sarah Palin

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Successi politici e demolizioni mediatiche: la storia vera di Sarah Palin

21 Marzo 2010

Le élite intellettuali europee progressiste tendono a distorcere la rappresentazione di alcune figure chiave della politica della seconda metà del Novecento. Margaret Thatcher ad esempio. Il ritratto preferito della “lady di ferro” è quello di una sorta di Robin Hood alla rovescia: toglieva ai poveri per dare ai ricchi. Ma anche su Tony Blair si è abbattuta la mannaia progressista. Per un lungo periodo di tempo è stato dipinto come la stella incontrastata del socialismo postmoderno. Poi la guerra al fianco di Bush ha trasformato in negativo la sua rappresentazione. Con la conversione al cattolicesimo le cose sono peggiorate. I socialisti hanno fatto saltare la candidatura di Blair alla guida dell’Europa. E il vero capolavoro l’ha realizzato il regista Roman Polanski: nel film The Ghost Writer gli assegna il ruolo addirittura del criminale, un premier inglese ovviamente al servizio degli americani.

Ma questo contestabile e detestabile atteggiamento intellettuale, non è una specificità propria dei progressisti europei: lo è anche dei liberal americani. Il libro dell’editorialista dello «Weekly Standard» Matthew Continetti, The Persecution of Sarah Palin: How the Elite Media Tried to Bring Down a Rising Star (Sentinel, 240 pagine, 25$, acquistabile anche in ebook per Kindle), ne è una testimonianza. Continetti evidenzia in maniera sin troppo chiara come i media liberal americani abbiano costruito un mito negativo dell’allora Governatore dell’Alaska Sarah Palin, chiamata nell’agosto 2008 dal candidato repubblicano John McCain ad affiancarlo come vice-presidente nella corsa alla Casa Bianca, persa contro il democratico Barack Obama.

La pesantissima sconfitta del candidato repubblicano fu talmente devastante da suscitare un paragone: i repubblicani si estingueranno alla pari dei dinosauri, con rapidità. La batosta elettorale aveva ridotto all’immobilità del coma il movimento conservatore; il dinamismo, decisionismo ed efficientismo di Obama, avrebbero assestato il colpo mortale. Lo scorso anno un brillante scrittore di storia, Sam Tanenhaus, poteva dare alle stampe The Death of Conservatism (Random House), raccogliendo ampi consensi. Per la destra americana veniva dunque celebrato un funerale di tutto rispetto, ma pur sempre un funerale.

A pochi mesi di distanza da quella previsione così certa, forse bisogna tornare a ragionare più sui fatti che sulle emozioni. Non ci sono dubbi che gli otto anni di governo di George W. Bush abbiano fatto toccare al movimento conservatore l’apice della solidità, e anche uno dei momenti più disgraziati della recente storia, dalla rivoluzione reaganiana ad oggi. Bush nella campagna per la rielezione nel 2004 ottenne un grande successo popolare, cementando la galassia religiosa conservatrice al partito repubblicano, sfondando anche in direzioni non favorevoli, sulle ali del patriottismo. La piega assunta dalla guerra, e soprattutto la recessione economica, hanno invece concorso a determinare la sanguinosa débacle del 2008. La candidatura di McCain affievolì gli entusiasmi dei militanti religiosi. Quando McCain, con le spalle al muro, capì che per recuperarli doveva mandare un segnale nella loro direzione, estrasse dal cilindro una carta rischiosa ma geniale: Sarah Palin.

Sarah irruppe nella campagna presidenziale come una bomba. Nata nel 1964 nell’Idaho, Governatore dell’Alaska, Sarah Palin era la prima donna candidata dai repubblicani alla vice-presidenza degli Stati Uniti (i democratici avevano candidato Geraldine Ferraro nel 1984). Bella, sempre sorridente, decisa, allegra. Tutto il contrario di Hillary Clinton. Sarah Palin era l’americana della porta accanto, capace di tenere a bada una numerosa famiglia, compreso un figlio handicappato, governare uno stato e alzarsi all’alba per una battuta di caccia tra vento e gelo. Il Governatore dell’Alaska diede il meglio di sé, pur mostrando vistosissimi limiti. La satira si lanciò a testa bassa. Dall’ultimo dei comici a David Letterman, fu un diluvio di battute sull’ignoranza e la pochezza politica, geografica, culturale, linguistica della Palin. La sua vita privata venne messa al setaccio. Non spuntò fuori nulla. Solo il fatto che la giovanissima figlia era rimasta incinta di un ragazzo. «È voluta crescere troppo in fretta» fu il commento della madre «ma le sarò sempre vicina».

Matthew Continetti analizza come il mito di Sarah Palin ci abbia messo pochissimo per esplodere e per attirasi l’attenzione ossessiva e malevola dei media liberal americani. Nessuno si aspettava un candidata alla vice-presidenza degli Stati Uniti con quel profilo. Quindi il cannoneggiamento per fronteggiarla iniziò rapido e martellante. Lo schema fu brutale. La provincia (l’Alaska) contro la città; la solida fede religiosa contro la fede dubbiosa; la famiglia troppo ordinaria e antica contro la famiglia contemporanea; i valori contro il relativismo; la scarsa attitudine culturale contro il sapere mediatico. Anche il fatto di essere una donna venne usato contro di lei.   

La sera della sconfitta di McCain sul palco Sarah Palin non riuscì a trattenere le lacrime. È finita. Cenerentola, o il brutto anatroccolo, se ne torna ai ghiacci dell’Alaska. Invece Sarah Palin, morente dinosauro repubblicano, in un batter d’occhio è diventata un’icona e un punto di rifermento dei  conservatori. Non si è ricandidata alla carica di governatore dell’Alaska; ha pubblicato l’autobiografia Going Rogue. An American Life (Harper-Collins), con grandissimo successo; è stata reclutata dalla Fox News come commentatrice politica. E ha cominciato a martellare Obama. Pesantemente. Il compito non è difficile. L’uomo della «provvidenza» da mesi non ne azzecca una. La sua migliore performance, recentemente, è stata il commento ad una partita di pallacanestro. Le elezioni di mezzo termine si avvicinano, e lì si capiranno gli umori profondi della pancia del paese. Se la crisi economica perdurerà, i posti di lavoro non risaliranno a sufficienza, per Obama si metterà male. E su di lui si scaricheranno risentimenti e delusioni.

Però restano ancora in piedi troppi se e troppi ma. La partita è appena all’inizio. Questo Sarah Palin lo sa benissimo. Infatti alle insistenti domande se intende rientrare in politica, non risponde. Ma sa benissimo che se la presidenza Obama continuerà a perdere colpi, non è lei che deve bussare alla porta dei repubblicani, ma loro alla sua. E comunque alle presidenziali del 2012 avrà 48 anni, a quelle del 2016 ne avrà 52. Pertanto può anche attendere un giro. Per il momento si prepara e guarda nella direzione del popolo dei «tea party». Dove appare infiamma la platea. Le insicurezze dei primi tempi si attenuano di discorso in discorso. Davanti al suo sorriso chiunque allenta i cordoni della borsa. Il femminismo oltranzista e il mondo liberal imperante nei mezzi di comunicazione e nelle università, l’hanno dipinta come un fenomeno da baraccone, un rigurgito ignorante, pericoloso e autoritario dell’America più retriva (più o meno le stesse considerazioni riservate a Reagan e Bush). Ma si tratta del solito stereotipo, frutto di un atteggiamento di superiorità culturale, destinato ad infrangersi sugli scogli del consenso popolare. Sarah Palin potrà anche non avere i numeri per concorrere alla presidenza degli Stati Uniti. Ha però in mano le chiavi per compattare sulla piattaforma repubblicana il vasto consenso, talvolta indisciplinato, del voto religioso. Questo lo sa lei e lo sanno i repubblicani.

Dal libro di Matthew Continetti escono alcuni punti fermi. Sarah Palin è ormai pienamente inserita nella galassia conservatrice, in quanto perfetta interprete dei valori tradizionali, capace come pochi di mettersi in sintonia con lo «spirito americano». Politicamente rappresenta una possibile incarnazione del pragmatismo reaganiano. Il suo è vero talento politico, e la sue istintive capacità oratorie le offrono una occasione straordinaria per conquistare l’arena politica. Il libro di Continetti si conclude con una domanda: riuscirà Sarah Palin a conquistare il partito conservatore? Il rischio è di cadere nel populismo e di essere vittima della continua persecuzione dei media liberal, che svolgono una duplice funzione: consolidano nell’immaginario collettivo degli antagonisti dei repubblicani l’idea del «mostro», e forniscono più di un‘arma a quella parte dei conservatori che non la amano. Per il momento Sarah Palin appare un treno in piena corsa, che non ha nessuna voglia di fermarsi.