Sugli ostaggi inglesi Teheran gioca una partita politica
29 Marzo 2007
Nonostante l’ottimismo del premier turco Tayyp Erdogan, che prevede rapidi esiti positivi, la temperatura sale tra Londra e Teheran che continua a tenere ostaggio 15 marinai britannici, accusati di essere entrati illegalmente nelle acque territoriali britanniche nello Shatt el Arab. Inutilmente Charles Style, vice comandante delle forze armate inglesi, ha dimostrato, dati del Gps satellitare alla mano, che i suoi marinai si trovavano per ben 1,7 miglia (quattro chilometri) all’interno delle acque territoriali irachene. Gli iraniani continuano a sostenere la loro versione e applicano la loro tattica abituale che punta a acuire sempre e comunque le tensioni, giocando però due partite – apparentemente contraddittorie – in contemporanea.
Oggi l’ambasciata iraniana di Londra ha emesso un comunicato distensivo: “Abbiamo fiducia che i due governi siano in grado di risolvere questo caso attraverso stretti contatti e collaborazione”. Ma ieri, il ministro degli esteri Manoucher Mottaki aveva usato tutt’altri toni proprio con il ministro degli esteri inglese Margaret Beckett che gli telefonava da Istanbul, spingendola a interrompere subito la sua visita in Turchia, mentre il suo numero due, Mehdi Mostafavi, ribadiva che i marinai britannici erano colpevoli di “aver violato le nostre acque territoriali”, anche se ha sottolineato che “debbono chiarire se vi siano entrati deliberatamente o per errore” e chiariva l’intenzione precisa di metterli sotto processo: “Il caso segue l’iter legale dovuto, e i britannici debbono rispondere della violazione da essi perpetrata”. A meno di ripensamenti, dunque, gli iraniani paiono sì intenzionati a riconsegnare i marinai britannici, ma non prima di avere inscenato un processo farsa in cui denunciare le “trame inglesi”, punto forte della loro propaganda. Da più di un anno, infatti, gli iraniani accusano Londra di inviare emissari e terroristi nel sud dell’Iran, nel Khuzestan, per sobillare la minoranza etnica araba a ribellarsi e attribuiscono agli inglesi la responsabilità dei moti di piazza e degli attentati che scuotono la provincia, che è anche quella che fornisce la quasi totalità del petrolio iraniano.
Un processo in cui le televisioni iraniane possano mostrare militari inglesi umiliati alla sbarra, può offrire dunque una eccellente occasione di propaganda sul fronte interno e soprattutto mostrare alla platea musulmana mondiale che l’Iran non si lascia intimorire dalle Nazioni Unite, dall’America e dall’Inghilterra. Martedì infatti, proprio Londra, applicando le sanzioni stabilite dall’Onu, ha bloccato le disponibilità finanziarie di società iraniane che collaborano al progetto nucleare ed oggi a Teheran è sicuramente grande la tentazione di usare del pretesto dell’incidente dello Shatt el Arab per ritorsione.
Un diplomatico occidentale – ovviamente anonimo – spiega che, al solito, due sono le linee che si confrontano in queste ore nel vertice iraniano: “Da una parte il blocco militare dei Pasdaran e di Ahmadinejad vorrebbe inscenare una sorta di processo all’“U2”, quell’aereo spia americano che Krusciov riuscì ad abbattere in piena guerra fredda e che gli offrì il destro per un dibattimento giudiziario spettacolare sul piano interno e internazionale. Dall’altra parte, però, fa da freno la preoccupazione del “gruppo Rafsanjani”, che non vuole tirare troppo la corda sul fronte di relazioni internazionali già abbastanza deteriorate. Sinora ha sempre prevalso Ahmadinejad e quindi non c’è da essere molto ottimisti. Ma chi decide è un uomo e uno solo: l’ayatollah Khamenei titolare monocratico della politica estera e di difesa. Dalla sua scelta, capiremo verso quale piatto della bilancia si sposta il determinante peso della Guida della Rivoluzione. Di sicuro, la tentazione di un replay in tono minore e giudiziario della presa degli ostaggi dell’ambasciata americana del 1979 è nell’aria, ma non è certo che si concretizzi”.