Sul Federalismo Bossi sbaglia a corteggiare un Pd che non c’è
15 Dicembre 2008
La legislatura è a un bivio. In questi mesi su diverse emergenze ha sperimentato il “premierato di fatto”: l’accordo tra premier e maggioranza parlamentare. Ed è stato un successo. La sperimentazione è stata però parziale. Perché il premierato prevede anche un’opposizione in grado di rispettare chi ha vinto e protesa alla successione, che indichi per questo agli elettori soluzioni alternative su tutti i temi dell’agenda politica. Questa parte del premierato non ha funzionato. L’opposizione è partita con la proposta tanto ambiziosa quanto velleitaria del governo ombra. Ma è crollata sotto la spinta eversiva di Di Pietro e delle contraddizioni interne che l’hanno costretta a rinculare disordinatamente rispetto a quanto essa stessa aveva proposto.
Sicché, ora che dal galoppo dei primi mesi si sta passando al trotto che caratterizzerà una fase lunga, difficile e irta di ostacoli, potrebbe esserci la tentazione di approfittare della rotta dell’opposizione per incrinare lo schema del premierato e proporre all’altra parte intese privilegiate.
Questa impressione è da ultimo provenuta dall’intervista che domenica Bossi ha rilasciato a Repubblica. In essa Berlusconi viene criticato per alcuni presunti eccessi verbali e, addirittura, il leader leghista si propone nell’inedito ruolo di tutore: come colui che sul tema della giustizia tratterà con la sinistra.
Bossi teme che un’eccessiva rigidità nei rapporti tra maggioranza e opposizione possa frenare il percorso del federalismo fiscale. E, per questo, propone toni più distesi con l’opposizione, incurante che proprio l’opposizione nell’ultimo periodo abbia provato più volte, e pesantemente, a delegittimare il premier.
Così facendo rischia di mettere a repentaglio quanto fin qui acquisito, anche per merito del suo partito: aver fatto di quella riforma un patrimonio dell’intera maggioranza. Il federalismo fiscale è infatti divenuto il filo rosso del progetto di ammodernamento dello Stato. Ne sono stati equilibrati i contenuti evitandone una lettura “nordista”. Ed è stato coniugato con una politica di rigore, cosicché su di esso si potrà puntare affinché l’Italia una volta fuori dal tunnel della crisi possa ritrovarsi più moderna, più competitiva, più forte.
In questi mesi il comportamento di tutti i gruppi parlamentari di maggioranza ha confermato tale condivisione. E grazie a questa compattezza la riforma è giunta all’ordine del giorno delle Camere bruciando le tappe. Se ora si lascia intendere che quanto è valso per il federalismo potrebbe non essere più valido per la giustizia, ciò che è stato conquistato potrebbe svanire in un attimo: in termini politici ma anche nel campo delle istituzioni.
Il premierato che per la prima volta abbiamo sperimentato con correttezza e successo in questi primi mesi di legislatura potrà conoscere tante varianti. Ma non potrà mai funzionare se si prescinde dal rapporto di fiducia tra il premier e la sua maggioranza. Chi pensasse di ridurre Berlusconi ad una macchina di ricerca del consenso e i gruppi parlamentari a docili strumenti per la politica di questa o quella sub-maggioranza, ha sbagliato calcoli e stagione. Non è più il tempo di giochetti né quello di rifarsi costola di una sinistra che appare invertebrata.