Sul federalismo fiscale Veltroni è il vero grande assente

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Sul federalismo fiscale Veltroni è il vero grande assente

06 Ottobre 2008

Quando sento Walter Veltroni gridare all’autoritarismo di fronte alla capacità del governo e della maggioranza di affrontare e risolvere le emergenze del Paese che il centrosinistra ci ha lasciato in eredità mi viene da sorridere. Quando poi vedo i maggiorenti del Pd agitarsi per il ricorso alla decretazione d’urgenza da parte dell’Esecutivo, e penso che in Senato (come pure alla Camera) giace la nostra proposta di riforma dei regolamenti parlamentari – che al governo attribuisce il ruolo di guida del processo legislativo e per la prima volta conferisce all’opposizione un autentico status istituzionale con le relative prerogative -, senza che mai dalla minoranza sia giunta la minima sollecitazione affinché tale proposta venga calendarizzata e discussa, mi sopraggiunge l’impressione che la levata di scudi sia un po’ ipocrita. Quando, infine, constato che il segretario del Pd non demorde dalle sue accuse a dir poco avventate, mi assale un senso di tristezza, perché in una democrazia matura, quando in gioco c’è la revisione del sistema fiscale a favore degli enti territoriali e la trasformazione in senso federale del nostro sistema politico, il leader dell’opposizione accetta la sfida e si confronta, come responsabilmente stanno facendo molti amministratori locali del suo partito.

Mi riferisco naturalmente al dibattito sul federalismo fiscale. E noto che se c’è un grande assente, questo è proprio Walter Veltroni. Eppure la sfida dovrebbe interessarlo: si tratta di costruire un impianto normativo bilanciato e funzionale in base a quel principio di responsabilità che è cardine di un sano percorso devolutivo. Il principio per cui ad una gestione virtuosa corrispondono meccanismi premiali, mentre si prevedono incisive sanzioni nei confronti di chi virtuoso non è; il principio per cui il livello del prelievo fiscale e le funzioni esercitate sul territorio tendono a coincidere, favorendo così una maggiore trasparenza e un maggior controllo da parte degli elettori-utenti; il principio per cui gli amministratori sapranno di dover rispondere ai cittadini in funzione della qualità dei servizi erogati in cambio dell’obbligazione fiscale. Si tratta, in estrema sintesi, di definire un sistema di contrappesi a livello centrale che impediscano al federalismo fiscale di determinare un effetto collaterale oltremodo indesiderato: la sedimentazione di una governance plurale e policentrica in cui sia del tutto assente un momento di sintesi, col risultato che la contrapposizione tra i localismi e le diverse sfere di potere conduca infine a una paralisi decisionale.

Il rischio non è da sottovalutare, anche a causa della peculiarità di un percorso federalista – quello italiano – di tipo devolutivo, realizzato attraverso la parziale cessione di attribuzioni da parte dello Stato, e non mediante l’aggregazione di entità territoriali preesistenti. Il nostro Paese arriva a quest’appuntamento dopo una lunga stagione di centralismo, la cui degenerazione ha determinato il ramificarsi di una burocrazia ipertrofica e soffocante. Un monstrum che nel Nord ha imbrigliato l’iniziativa, e ha contribuito a impedire che il Sud potesse liberarsi, anche per la perversa e illusoria spirale di un assistenzialismo malato, dai condizionamenti che ne hanno frenato lo sviluppo. A fronte di tale situazione di partenza, non c’è da stupirsi se dai contribuenti e dalle forze produttive del nostro Paese giunge forte una domanda di decentramento e di responsabilizzazione dei pubblici amministratori ad ogni livello, a cominciare da quello comunale, percepito come più prossimo ai propri bisogni. Ma commetteremmo un errore fatale se ci convincessimo che la rivoluzione federalista o è radicale o non è, e per questo omettessimo di accompagnare la devoluzione con un sistema di bilanciamenti, condannando l’Italia a divenire col tempo una Babele di poteri e di interessi, legittimi per carità, ma nella quale il momento della decisione e della sintesi non arriva mai.

Mi pare che questo pericolo il governo lo abbia ben presente, e nella sua proposta di partenza abbia gettato le basi per scongiurarlo. E’ bene che sia così perché, in caso contrario, a lungo andare i cittadini non ce lo perdonerebbero. Non ce lo perdonebbero soprattutto i tanti milioni di elettori che, nel centrodestra come nel centrosinistra, il 13 e 14 aprile hanno chiesto la semplificazione del sistema politico. Quei cittadini ad aprile hanno scelto per una democrazia decidente ed efficiente. Nel disegnare l’Italia federalista, sotto il profilo fiscale e ancor di più sotto il profilo costituzionale, è bene non dimenticarlo mai.

Ci si sta confrontando, insomma, con il vero problema della forma Stato del XXI secolo: come garantire che le articolazioni territoriali non si trasformino in particolarismi e le esigenze crescenti di autonomia non inficino i tempi e la sostanza della decisione. Ed è su questo tema che Walter Veltroni farebbe bene a confrontarsi, perché spacciare per autoritarismo la capacità di una classe politica di prendere decisioni per il bene dei cittadini è sintomo di infantilismo politico e residuo di antichi complessi evidentemente mai superati. In caso contrario, se davvero il segretario del Pd crede alle parole che è andato pronunciando negli ultimi giorni, sia coerente: abbandoni i governi ombra, le bozze Violante e gli ammiccamenti federalisti, si metta uno zaino in spalla e salga su una montagna.

Per quel che ci riguarda, noi non disattenderemo la chiara indicazione dei cittadini. E non è un caso che il centrodestra, proponendo agli elettori un programma di valorizzazione delle istanze territoriali, abbia rotto gli indugi e si sia presentato sotto un vessillo unitario, avviando la costruzione di un grande partito di coalizione, nazionale e potenzialmente maggioritario, che trova nel principio del carisma democratico la sua essenza fondante. La semplificazione del sistema partitico, insomma, è a tutti gli effetti un contrappeso rispetto alla regionalizzazione di importanti aspetti della vita del Paese. A fronte della devoluzione di importanti attribuzioni a favore del territorio, non permetteremo più che si verifichi ciò che è accaduto nella scorsa legislatura, quando nella rappresentanza parlamentare trovavano spazio piccoli gruppi il cui bacino elettorale non superava i confini di una sola regione. Ci era sembrato che con la scelta di dar vita al Partito democratico il centrosinistra intendesse perseguire lo stesso obbiettivo. Se Veltroni ha cambiato idea, ce ne faremo una ragione e prenderemo atto che questo Paese dovremo modernizzarlo da soli.