Sul referendum il Pd sta tenendo un comportamento kafkiano

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Sul referendum il Pd sta tenendo un comportamento kafkiano

07 Maggio 2009

Un asse tra Pd e Lega per cambiare la legge elettorale con l’opposizione del PdL e disinnescare la mina del referendum? Lo scenario sa di fantapolitica, e invece una proposta del genere – cambiare il sistema di voto "con chi ci sta" – dal Carroccio è arrivata per davvero, e questo la dice lunga su quanto attorno alla boa della scadenza referendaria le acque della politica siano agitate. Ne parliamo con Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario dei senatori del PdL e ormai "navigato" in tema di riforme elettorali e dintorni.

Senatore Quagliariello, la Lega ha lanciato il sasso, l’Udc non s’è tirata indietro, voi che farete?

"Anche i simboli hanno la loro importanza, e questa proposta rientra in questa categoria. Ma sempre simboli rimangono. In termini concreti, non è possibile approvare una riforma della legge elettorale prima del referendum del 21 giugno. In termini politici, sarebbe inconcepibile che ciò avvenisse con l’opposizione del partito largamente maggioritario anche in termini di rappresentanza parlamentare. A meno che non si voglia ragionare in termini di fantapolitica, è difficile che su questo tema il PdL possa farsi trattare come un materasso".

La mossa del Carroccio vi ha messo in difficoltà?

"Assolutamente no. Noi abbiamo rispetto per i nostri alleati, dunque prendiamo seriamente in considerazione qual è il messaggio che hanno voluto mandarci. Ma altrettanto legittimamente potremmo rispondere: vadano avanti, se sono in grado di farlo".

A questo punto dunque le ipotesi realisticamente in campo sono due: o passa il referendum o viene a mancare il quorum. Cosa accadrebbe nell’uno e nell’altro caso?

"Se vincesse il sì, verrebbe fuori una legge elettorale che ha una sua organicità, seppur discutibile. Potrebbe semmai essere perfezionata, ma politicamente parlando la sua sostanza non potrebbe essere smentita. Per questo trovo che sia disonesto, da parte di alcuni esponenti del Pd, appoggiare il sì al referendum per sperare poi di cambiare il sistema di voto come più gli aggrada. Se invece il quorum non dovesse essere raggiunto, per il momento resterà in vigore l’attuale sistema di voto. Non si cambia la legge elettorale ad appena un anno dalle elezioni precedenti, perché modificando il metodo di selezione si rischia di delegittimare i parlamentari in carica e si incentiva la tentazione di un ritorno anticipato alle urne. Più avanti, cercando le più larghe convergenze possibili, si potrà discutere di ipotesi che possano rappresentare effettivamente un miglioramento e non un semplice ritorno indietro".

Il Pd in queste settimane vi ha attaccato piuttosto duramente sulla data del referendum…

"Finora il comportamento del Pd è stato a dir poco kafkiano. All’inizio mancava poco che gridassero al golpe per la mancata disponibilità del governo a garantire il quorum attraverso l’abbinamento con le elezioni europee. Poi hanno fatto inversione di marcia, e avrebbero voluto impedire al presidente del Consiglio persino di esprimere un’opinione personale, che tra l’altro coincide con la posizione del Pd…".

Evidentemente sta parlando dell’annuncio di Berlusconi che voterà per il "sì". Oltre a votare, crede che il premier scenderà direttamente in campo dopo le europee?

"Bisogna fare una premessa. Il significato di questo referendum oggi è profondamente mutato rispetto a quando è stato indetto. Per due ragioni. In primo luogo perché esso interveniva in una situazione di estrema frammentazione – c’erano in Parlamento circa venti partiti, partitini e gruppuscoli -, che è stata superata dal voto del 13 e 14 aprile 2008. In secondo luogo, quando il referendum è stato indetto Pd e PdL non si erano ancora misurati, e dunque vi era un legittimo dubbio su chi potesse conquistare il premio di maggioranza. Allo stato, il fatto che il PdL sia il primo partito e dunque il ‘vincitore’ del premio di maggioranza è scontato, acquisito. Non ritengo per questo che sia opportuno, né dal punto di vista dello stile né dal punto di vista della sostanza, che si impegni apertamente a favore del sì. Altro, ovviamente, è lasciare libertà di scelta ai propri elettori".

La tentazione del ritorno al proporzionale con preferenze, magari con il correttivo di uno sbarramento, non è scomparsa dallo scenario…

"Non dobbiamo buttare a mare i progressi compiuti in termini di semplificazione del quadro politico, e l’introduzione di uno sbarramento al 4% non è sufficiente. Per quanto riguarda le preferenze, esse sono veicolo di spesa e a volte di corruzione, e sottraggono ai partiti anche l’ultimo compito importante rimasto loro: quello di selezionare la classe politica. Per risolvere i problemi di rappresentatività, è assai meglio accorciare le liste per consentire un maggior controllo di qualità da parte degli elettori, e garantire con uno statuto pubblico trasparenza e democrazia da parte dei partiti".

Intanto c’è chi parla di fallimento del progetto bipartitico, che in Italia sarebbe inattuabile…

"Il bipartitismo è sempre ‘tendenziale’: persino in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove esso è radicato nella storia, sono esistiti anche terzi, quarti e quinti partiti. Così inteso, è una regola della modernizzazione della politica che vige ormai in quasi tutta Europa. E gli italiani non sono antropologicamente diversi. Piuttosto, mi sembra che la sfiducia nei confronti di un assetto bipolare derivi dalla profonda crisi in cui versa la sinistra. E’ un fatto che preoccupa anche noi, perché senza un pungolo le maggioranze, anche quelle animate dalle migliori intenzioni, si lasciano andare, e i partiti a tendenza maggioritaria rischiano di trasformarsi in partiti-Stato. Ma in politica non bisogna mai assumere come definitive delle situazioni contingenti. Speriamo il più tardi possibile, ma anche per il PdL giungeranno momenti meno felici degli attuali. Una classe politica matura lo sa e si attrezza".