Sulla legge elettorale per il centrodestra il problema è politico

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Sulla legge elettorale per il centrodestra il problema è politico

07 Giugno 2017

Legge elettorale: mettiamo da parte i problemi tecnici e concentriamoci sulle conseguenze politiche. Questa proposta può piacere o meno, ma quanti scrivono che stiamo tornando alla Prima Repubblica non hanno capito niente. Nella Prima Repubblica, tanto per cominciare, si entrava nel club con l’uno per cento (Pannella, 1976). Vi era dunque una pletora di partiti e partitini. Ora che serve il 5 per cento, le forze politiche che possono aspirare a superare l’asticella vanno da un minimo di quattro a un massimo di sei. Nella Prima Repubblica, col mitico pentapartito, cinque erano soltanto i partiti al governo!

Mi sembra poi che si stia sottovalutando il voto nel collegio uninominale. Basta sfogliare un manuale di diritto costituzionale comparato per scoprire che, nel sistema d’impianto “tedesco”, ancorché riveduto e corretto, quel che orienta e trascina il voto è la candidatura uninominale e la sua possibilità di successo. È vero che in Germania se vinci nel collegio sei certamente eletto (e da noi no); è vero che i collegi, nell’ultima versione della legge, sono stati ampliati nelle loro dimensioni diminuendo l’incidenza del candidato; ma è anche vero che in Italia non ci sarà voto disgiunto e che, dunque, il traino dell’uninominale sarà per questo più forte.

Insomma: questa legge è proporzionale ma l’effetto bipolarizzante nei collegi non va sottovalutato. Il voto assegnato a un candidato varrà infatti in automatico anche per la lista di riferimento, e viceversa. Ma l’esperienza dei Paesi nei quali questo sistema misto è già stato utilizzato ci insegna che tendenzialmente è il voto per il candidato uninominale a determinare la scelta dell’elettore, e non l’opzione per la lista del partito collegato. E, al di là dell’elettorato politicamente orientato e fidelizzato, vi è una parte di elettori che voterà per chi ha potenzialità di vittoria, considerando come scelta “meno peggio” quella per la persona che per cinque anni rappresenterà presumibilmente il punto di riferimento del proprio territorio. Poiché dunque la percentuale di ciascuna lista non discenderà da un voto proporzionale “puro” ma sarà la risultante dei voti raccolti nei collegi, è difficile ambire a essere un grande partito senza puntare a vincere – o quantomeno a contendersi la vittoria – in molti collegi. Al più, si può essere una forza medio-piccola.

Se questo è vero, per il centrodestra si pone un problema. Se lo schieramento arriverà al voto diviso in tre liste, si candiderà a perdere il novanta per cento dei collegi, nei quali a contendersi la vittoria saranno Renzi e Grillo. Sarebbe un insperato assist per il “bullo” di Rignano. In evidente difficoltà politica, Renzi spera infatti di veder convergere sul suo simbolo i voti di quegli elettori che non vogliono consegnare il Paese nelle mani del Movimento 5 Stelle e che, per questo, sceglieranno nel collegio il solo candidato che può battere i pentastellati: con un centrodestra diviso in tre, tendenzialmente il candidato del Pd. E ciascuno di questi voti, per il meccanismo di cui sopra, andrà automaticamente a ingrossare il risultato proporzionale della lista renziana.

Il segretario del Pd, insomma, cerca di riproporre la stessa dinamica che provocò il suo spettacolare successo alle elezioni europee. Il centrodestra deve fare qualcosa per non agevolarlo, e il problema non è tecnico o di ingegneria elettorale: è innanzi tutto un problema politico! Dixit et salvavi animam meam.

(Tratto da Huffington Post)