Sulla liceità e l’utilità degli 007 con “licenza di uccidere”
03 Marzo 2010
Fare la guerra è un’arte antica. Ordinare un “omicidio mirato” una sua evoluzione e un sofferto strumento per garantire e preservare la pace. Una morte ‘commissionata’ può infatti costituire una preziosa via d’uscita dai conflitti: fin dai tempi di Muzio Scevola e Porsenna, e ancora prima, assassinare un capo nemico poteva significare una rapida vittoria. Ma nulla di tutto questo può essere paragonato a quanto è accaduto nel Ventesimo secolo.
Il Novecento alterna, in maniera incostante, grandi ideali di libertà e pace a oscure guerre sotterranee, combattute tra le agenzie di intelligence. È davvero impressionante notare quanti pochi anni dividano gli illuminanti proclami wilsoniani sull’autodeterminazione dei popoli e sulla fine delle diplomazie segrete dai blocchi della Guerra Fredda. Da allora il mondo si è diviso in sigle: Kgb, Mossad, Cia, MI6, Sismi, l’elenco sarebbe lungo. Gli scontri convenzionali sono stati sempre più affiancati da un’infinità di azioni sotto copertura: Berlino, Israele e il panarabismo, Cuba, Vietnam, America Latina, Italia… l’elenco sarebbe molto lungo.
Gli omicidi mirati sono senza dubbio utili se difendono la pace e la sicurezza di uno Stato e in questo trovano la loro legittimazione. Non si tratta di una legittimità giuridica, certo e questa "licenza di uccidere" deve produrre risultati politici e strategici certi: rendere il nemico incapace di battersi, penetrare in profondità ed eliminare le pedine fondamentali nello schieramento avversario: questo il fine ultimo di operazioni simili. Tuttavia, non sempre le cose vanno nel verso giusto. Non è semplice identificare un obiettivo la cui eliminazione sia in grado di indebolire in maniera sostanziale e definitiva gruppi terroristici come Hamas o Al-Quaeda. In questo caso, se non sono valutati con attenzione, gli omicidi mirati rischiano di diventare inutili e potenzialmente dannosi. Colpire causando un danno minimo e lasciando intatto il centro nevralgico della potenza avversaria non ha senso. L’unico risultato che si ottiene è alimentare altra violenza. Ogni uomo ucciso viene rimpiazzato e sostanzialmente nulla cambia nel lungo periodo.
Ultimo caso è stato l’omicidio di un dirigente di Hamas avvenuto a Dubai nei giorni scorsi. Un crimine commesso presumibilmente dai servizi segreti israeliani. Questa azione ha prodotto forti critiche non solo tra i paesi Arabi, ma anche tra quelli filo-occidentali. Il governo di Canberra ha attaccato duramente Israele per aver fornito ai propri agenti passaporti falsi australiani. Risultato: un bilancio politico negativo, per una operazione militare riuscita. Gli omicidi mirati possono quindi rivelarsi un’arma a doppio taglio. Sono uno strumento da usare con estrema cautela.