Sulla “manovrina” l’Europa non si fida dell’Italia e Padoan non si fida di Matteo Renzi
26 Marzo 2017
di Carlo Mascio
“L’Italia manterrà il suo impegno”. Il ministro Padoan continua a ripetere come un mantra che la manovra aggiuntiva da 3,4 miliardi di euro “si farà entro i termini previsti e concordati con la Commissione europea”. Lo ha detto ovunque, dal vertice Ecofin di Bruxelles fino alle celebrazioni per i Trattati di Roma. Ma perché tutta questa necessità di ripetere il solito ritornello? Ormai tutti sanno che la famosa “manovrina” è necessaria. I motivi principali delle incursioni di Padoan sono due, in sostanza: l’Europa non si fida dell’Italia e, soprattutto, Padoan non si fida di Renzi.
Che i vertici europei non si fidino dell’Italia in materia di debito pubblico questo è certo. E lo dimostra il continuo tran tran di moniti e di dichiarazioni che, guarda caso, arrivano proprio nei giorni in cui il ministro del Tesoro sta cercando di trovare la quadra per il varo della “manovrina salva-procedura Ue”. Bce e Commissione Europea, ad intervalli regolari, hanno letteralmente bersagliato il “povero” Padoan mettendo continuamente in luce la situazione critica dei conti pubblici italiani. “Se l’Italia non apporterà le ambiziose misure correttive di bilancio entro aprile, verrà attivata a maggio la procedura di infrazione” si legge nella nota di anticipazione del Bollettino economico della Banca Centrale Europea.
Nello stesso documento, si sottolinea che l’Italia è tra i paesi sotto osservazione per squilibri di bilancio eccessivi “per il quarto anno consecutivo”. E ancora, si ricorda anche che la distanza del debito pubblico italiano dal valore di riferimento del Patto Ue in rapporto al Pil che ci rende il Paese maglia nera nell’eurozona. Per questo, se si guarda ai rischi identificati dalla Commissione europea nell’analisi della sostenibilità del debito ”a medio termine”, l’Italia risulta tra quelli a livelli “alti”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la Commissione Europea che nell’ultimo rapporto sul debito pubblico italiano ha rilevato che “da metà 2016 gli sviluppi interni hanno rallentato significativamente l’adozione di nuove riforme in Italia”.
L’espressione ‘sviluppi interni’ fa naturalmente riferimento alla campagna elettorale per il referendum costituzionale, con la sconfitta di Renzi, che ha pagato i suoi errori di comunicazione e una riforma scritta male con la fine del suo governo e le dimissioni da premier. Litania ripetuta anche dal Vicepresidente della Commissione Europea, Dombrovskis, a Roma: “Sulla questione c’è un impegno molto concreto reiterato da tutti i ministri e da tutto l’establishment”. Dunque, il messaggio europeo è chiaro: o fate la manovra o saranno guai.
La risposta del nostro ministro dell’Economia è stata sempre la stessa: “La manovra si farà assolutamente” e quell’“assolutamente” suona come un monito che ha un destinatario ben preciso: il Pd e, in modo particolare, Renzi, che Padoan ha provato ad assecondare con le nomine dei renziani ai vertici delle partecipate dello Stato in cambio del ‘silenzio stampa’ sulla manovra. Manovra che resta comunque indigesta per Renzi influenzando negativamente la sua politica dei proclami e delle promesse; il tutto per cercare di stemperare le tensioni nell’esecutivo e nel Pd.
Tuttavia, in tempo di primarie Dem, non è escluso che l’ex premier torni alla carica per contrastare le misure che il governo Gentiloni deciderà di intraprendere in materia di politica economica. E segnali in tal senso già ci sono. Basta ascoltare la renziana Teresa Bellanova che intervistata dal Corriere da una parte dice che con Padoan “non ci sono problemi” e che “l’intervento del ministro della Economia al Lingotto,” l’assemblea del Pd, “è stato di grande valore e molto apprezzato, a partire da Renzi”, ma poi parte all’attacco del ministro Calenda, reo di aver messo in discussione gli effetti degli 80 euro, aggiungendo: i governi sono retti dai voti, non dai tecnici.
Matteo Orfini ha dichiarato più volte che “non vogliamo aumenti delle tasse e manovre recessive”, come se il governo Renzi avesse abbassato le tasse. Walter Verini, altro parlamentare Dem dell’area renziana, ha detto che “l’importante è che non sia una manovra depressiva e secondo me ci sono le condizioni: il saldo finale non deve colpire la ripresa avviata…”. Insomma, mentre il capo tace parlano i suoi, difendendo e diffondendo ancora le illusioni della “renzinomics”, ricordate? La ripresa che c’era, anche se poco, ma c’era? In realtà ad esserci è l’Europa con cui l’Italia deve fare i conti e, con l’aria che tira nella vita politica del nostro Paese, il cortocircuito tra il ministro Padoan e il Pd renziano resta dietro l’angolo.