Sulla utilità di non strumentalizzare i senatori a vita
23 Gennaio 2013
Memore delle esperienze del biennio 2006-2008 in cui i senatori a vita furono, a lungo andare, determinanti per le sorti del governo Prodi, probabilmente Napolitano, prevedendo un sostanziale pareggio nel Senato che verrà, non ha voluto preventivamente condizionarne gli equilibri, visto che, quasi certamente, la situazione del 2006 si ripeterà. Molte volte, l’allora nutrita pattuglia di senatori a vita (Scalfaro, Montalcini, Ciampi, Pininfarina, Colombo, finanche Andreotti e Cossiga) votando a favore del governo, riuscì a tenerlo in piedi, nonostante la progressiva erosione di sostegno all’interno dell’aula. Questo supporto, il più delle volte decisivo, creò un acceso dibattito sulla reale utilità della figura del senatore a vita, il quale, senza essere scelto da nessuno (ma col “Porcellum” neanche gli stessi parlamentari, in verità, lo erano) poteva condizionare la sopravvivenza di un governo in un’aula probabilmente in maggioranza ad esso ostile.
Premesso che l’inserimento di autorevoli personalità che “hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” può solo giovare ad un panorama politico spesso grigio e diciamolo, anche culturalmente povero, è giusto che queste stesse condizionino la sovranità popolare? Probabilmente no, specie se quel termine “sociale” viene interpretato spesso come equivalente di “politico”: cosa c’entrano i Nenni, i Fanfani, gli Andreotti, i Colombo (ma anche i Monti) con i criteri della Costituzione? Molto poco.
Un termine di paragone autorevole e particolare potrebbe essere quello adottato dal diritto canonico: i cardinali sopra i 75 anni perdono il diritto di entrare in Conclave, e quindi anche il diritto di voto, senza che si gridi allo scandalo. Ciò non comporta che essi perdano influenza o autorevolezza (si pensi a Martini o Tonini), ben potendo continuare a rappresentare la Chiesa con lo stesso (se non maggiore) prestigio di prima. La nomina di grandi come Trilussa (“m’hanno nominato senatore a morte, disse, e infatti morì pochi giorni dopo), Montale, De Filippo, Bobbio, Montalcini, avrebbe potuto offrire, anche senza diritto di voto, un credito amplissimo sia a loro che all’aula che si onorava di ospitarli. Il loro diritto di tribuna non avrebbe certo sminuito la bontà delle loro proposte di legge o dei loro discorsi. Non sarebbero stati condizionati da nessuno e anzi, i loro consigli, non sarebbero potuti essere strumentalizzati politicamente, come per esempio è accaduto per la Montalcini, che si vide rigettare ottime proposte, solo per essersi schierata in precedenza. Insomma, tutta questa utilità nel diritto di voto, non si riusciamo a intravvederla.
on pensiamo che sia una convinzione peregrina credere che una proposta di legge, una replica, una chiosa di un senatore a vita, nominato rispettando il criterio letterale della Costituzione, possa assumere un valore molto più alto di quanto non abbia oggi. Il problema semmai è il coraggio di affrontare una riforma costituzionale che potrebbe apparire ai più come inutile e oziosa ma che, viceversa, contribuirebbe a ridare prestigio a una istituzione, quella parlamentare, che in questi anni ha fatto troppo poco per meritarsi il rispetto e l’autorevolezza di cui dovrebbe invece godere.