Sulle armi all’Ucraina servono fatti non parole

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Sulle armi all’Ucraina servono fatti non parole

Sulle armi all’Ucraina servono fatti non parole

27 Febbraio 2023

Viene da chiedersi cosa sanno europei e americani delle armi che l’Occidente sta mandando in Ucraina. A leggere gli ultimi sondaggi, non molto. La maggioranza degli italiani non vuole mandare armi all’Ucraina, anche se dice di stare dalla parte di Kiev che combatte contro Putin. Gli americani, che sostenevano con forza l’amministrazione Biden, iniziano a ripensarci. Non si capisce quindi come dovrebbe fare l’Ucraina a difendersi o a vincere la guerra.

C’è anche molta confusione sulle armi che l’Occidente ha mandato a Kiev fino adesso. Posto che di armi, ‘fantasmi’ e tecnologie probabilmente ne abbiamo già inviate senza suonare troppo le fanfare, da giorni si straparla di jet militari. Senza sapere che in realtà siamo in ritardo nelle consegne precedenti già previste. Mentre si dà fiato alle trombe sui carri armati di ultima generazione e i sistemi anti-missile che ancora debbono partire, compresi quelli di fabbricazione franco-italiana, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Bush, Stephen Hadley, uno che si è fatto tutte le trattative sugli Start, ieri ha detto una cosa molto chiara al Washington Post.

Hadley: “In ritardo su armi all’Ucraina”

“Siamo in ritardo di sei mesi” nel dare a Kiev “l’equipaggiamento militare di cui gli ucraini hanno bisogno”. Secondo Hadley, l’impegno “a parole” degli alleati occidentali è “superiore alla nostra capacità di mantenere tale impegno”. Intanto la Ue discute non di Jet, bensì delle munizioni da inviare a Kiev. Visto che neppure su questo gli alleati europei riescono a coordinarsi, e adesso Borrell chiede un dispositivo decisionale unitario simil-Covid per accelerare. Anche perché Mosca spara in un giorno una quantità di proiettili d’artiglieria equivalente alla produzione mensile europea. Fino ad ora, perlomeno da quello che sappiamo, gli ucraini debbono ringraziare soprattutto gli Usa per i Javelin, gli Himars, i droni e chissà che e quanto altro.

I ritardi nei rifornimenti aprono un altro problema. Da mesi si va avanti con una campagna mediatica, compreso nel nostro Paese, in cui si lascia intendere che Zelensky è destinato a vincere proprio perché avrà le armi necessarie dall’Occidente. Che, anzi, l’Ucraina dovrebbe fermarsi perché vuole riprendersi pure la Crimea. Si alimenta cioè l’idea di una vittoria di Kiev non solo possibile ma probabile e a breve. Se carri armati e jet militari arriveranno forse le cose andranno così ma nel timore di una escalation per adesso tutto sta avvenendo più lentamente. Dopo la fallita invasione dello scorso anno i russi si sono attestati su una linea di combattimento lunga qualche centinaio di chilometri. Siamo entrati in una fase di logoramento in cui nessuno dei due contendenti riesce a chiudere la partita. Con la differenza che gli ucraini si difendono, i russi invece bombardano le città e ammazzano civili per terrorizzarli e spingerli a desistere e arrendersi.

Brutte sorprese?

Non si capisce allora di cosa stiamo parlando quando si afferma che ‘non si possono mandare altre armi sofisticate a Kiev,’ se le altre stanno ancora arrivando. C’è una guerra e le guerre non si vincono a parole, con la retorica politica e i ritardi nei rifornimenti. La guerra si vince se carri e jet verranno inviati in tempo e nella giusta quantità. Il risveglio per le leadership e le cancellerie che intanto applaudono Zelensky, e soprattutto per le opinioni pubbliche anche critiche ma convinte che stiamo aiutando gli ucraini, potrebbe essere amaro. Del resto è da quando gli alleati pensavano di portarlo via per salvarlo dai parà russi, quei giorni di un anno fa quando sembrava che Kiev dovesse cadere, che Zelensky chiede queste armi.