Sulle pensioni il Governo fa come gli struzzi
23 Luglio 2007
L’attuale critica situazione previdenziale troverebbe la sua giustificazione, da un lato, nell’elevato numero di prestazioni assistenziali, come ad esempio le pensioni di invalidità e le pensioni sociali, e, dall’altro, nella relativa giovinezza del nostro sistema previdenziale, il quale ha assunto la forma attuale sul finire degli anni sessanta.
Per questa ragione al 1 gennaio 1989 il 67,4% delle pensioni di vecchiaia liquidate dal Fondo lavoratori dipendenti veniva erogato a persone con anzianità contributiva inferiore a 35 anni. Dunque, non sorprende che nel 1989 ci fosse un così alto numero di pensionati che percepiva un assegno pari o inferiore al minimo: a contributi versati per un periodo di gran lunga inferiore all’età contributiva massima di 40 anni corrispondono necessariamente basse prestazione da parte dell’INPS.
Ma cosa accadrà quando nei prossimi lustri un elevato numero di lavoratori potrà andare in pensione, vantando un’anzianità contributiva prossima o pari al massimo, con conseguente miglioramento del trattamento pensionistico medio? A ciò si aggiunga un dato che, allo stato attuale, dovrebbe destare notevoli preoccupazioni: il bilancio demografico.
Cosa accadrà quando l’INPS non solo dovrà pagare prestazioni più elevate, in virtù della maggiore età contributiva degli assicurati, ma anche più numerose e, soprattutto, più protratte nel tempo, a causa del naturale allungamento della vita media?
Scalini a parte, la proposta del Governo, complice la triplice sindacale ormai in totale conflitto d’interessi oltre che d’identità, sembrerebbe evadere il problema. Il discorso sul bilancio demografico avrebbe dovuto spingere il governo a considerare il problema della sostenibilità del sistema pensionistico non solo dal lato delle uscite, ma anche da quello delle entrate, se pensiamo che il basso tasso di natalità, di cui l’Italia possiede un triste primato mondiale, produrrà i suoi effetti esplosivi a danno dei conti dell’INPS. La minore natalità si traduce, nella prospettiva previdenziale, in minore numero di contribuenti. Agli effetti deflagranti dovuti all’esplosione della cosiddetta bomba demografica dobbiamo aggiungere quelli causati dai fattori, non meno problematici, del lavoro autonomo e dell’evasione contributiva. Per quanto riguarda quest’ultimo, possiamo affermare con una discreta dose di certezza che la disponibilità contributiva si mostra tendenzialmente inversamente proporzionale al peso delle aliquote fiscali. Al crescere di queste ultime si osserva una tendenza alla diminuzione del senso di responsabilità fiscale, al contrario, l’onestà dei contribuenti tende ad aumentare man mano che le aliquote scendono. Di conseguenza, si è portati a credere che, affinché i tributi vengano pagati con giustizia e senso di responsabilità, è necessario che essi vengano percepiti dalla comunità come imposte con altrettanto senso di giustizia e responsabilità da parte del Legislatore. E questo non è un dato da poco, se consideriamo che, per quanto riguarda le entrate INPS, proprio nel periodo in cui le prestazioni dell’Istituto dovrebbero subire un progressivo aumento a causa del crescente numero di pensioni erogate e del loro maggiore peso dovuto ad una superiore età contributiva, il trend dovrebbe peggiorare, qualora si decidesse di risanare il bilancio con un inasprimento delle aliquote a carico sia delle imprese sia dei lavoratori; in tal caso le aspettative di aumento delle entrate potrebbero essere tradite da un elevato ed inatteso tasso di evasione contributiva.
Il timore che anche in questo caso abbia prevalso la morale dello struzzo è altissimo, il tempo ci dirà se in Italia esiste ancora un barlume di spirito riformatore.