Terroristi iraniani in cambio di ostaggi occidentali: è scoppiato il Saberigate?
25 Luglio 2009
Mentre i media americani erano impegnati a scoprire un “Ciagate”, investigando su piani operativi segreti che la Cia non mise mai in atto, pochi organi di informazione si occupavano di un caso molto più recente: la liberazione del terrorista Laith al Qazali e poi il ritorno in Iran di cinque funzionari fatti prigionieri dagli americani nel 2007 ad Arbil, colpevoli di finanziare la guerriglia sciita. Questi due episodi sono avvenuti rispettivamente il 6 giugno e il 9 luglio. Chiaramente non li ricorda più nessuno, perché l’informazione sull’Iran è stata monopolizzata dalle elezioni fraudolente che hanno fatto vincere Ahmadinejad il 12 giugno e dalla conseguente Rivoluzione Verde. Ma la restituzione di questi prigionieri potrebbe essere solo la prima tranche di uno scambio concordato fra Gran Bretagna e Stati Uniti da una parte e Iran dall’altra. Uno scambio impari, che prevede la liberazione di centinaia di terroristi e spie da parte degli occidentali, contro l’avvenuta liberazione della giornalista iraniano-americana Roxana Saberi e il (mancato) rilascio di 5 ostaggi britannici.
La liberazione di Laith al Qazali è stata spiegata dalle autorità irachene e americane come parte del “processo di riconciliazione” con la rete terroristica di Qazali, la Lega dei Giusti. Gruppo scissionista dell’esercito del Mahdi (gli estremisti sciiti di Moqtada al Sadr), la Lega dei Giusti ha proseguito la sua attività terroristica contro la Coalizione. Non si tratta di un gruppo combattente locale, ma di una rete organizzata e addestrata militarmente in Iran. Il regime di Teheran ha sempre negato di essere coinvolto nella guerra irachena. Ma i prigionieri catturati da iracheni e americani hanno confermato di essere stati addestrati da personale della Guardia Rivoluzionaria, in territorio iraniano, con armi ed equipaggiamento fornite da Teheran. Un addestramento sicuramente proficuo, visto che nel gennaio del 2007, un commando sciita, camuffato da unità americana, ha assaltato il centro di coordinamento provinciale di Kerbala, facendo prigionieri (e poi giustiziando) cinque militari americani.
Nel frattempo, la caccia ai terroristi lanciata dal generale Petraeus ha portato, fra la fine del 2006 e l’inizio del 2007, alla cattura di tutti i maggiori esponenti della guerriglia sciita: Mahmoud Farhadi, Ali Mussa Daqduq, Qais e Laith al Qazali, Azar al Dulaimi, tutti legati direttamente alle forze Qods iraniane, il corpo scelto della Guardia Rivoluzionaria che organizza le operazioni terroristiche all’estero. Gli ufficiali americani responsabili della loro cattura li hanno sempre considerati come delle minacce serissime alla sicurezza militare americana in Iraq, non hanno mai avuto intenzione di liberarli. La giustificazione della liberazione di Laith (“riconciliazione nazionale”) suona dunque molto strana: benché sia una nazione indipendente e sovrana, da un mese anche sul piano formale, l’Iraq non ha ancora il pieno controllo delle operazioni militari, né dei prigionieri catturati in combattimento. E’ mai possibile che gli americani abbiano ceduto agli iracheni la custodia di alcuni dei più pericolosi terroristi e di agenti segreti iraniani catturati negli anni scorsi?
La risposta può arrivare dalla contemporanea trattativa per la liberazione di cinque ostaggi britannici (catturati in Iraq) e il rilascio della giornalista iraniano-americana Roxana Saberi, arrestata in Iran nel gennaio del 2009. Si è trattato di scambio? Probabilmente sì, ma di uno scambio impari. Tra maggio e giugno il governo Brown ha premuto sugli Usa per la liberazione di prigionieri legati al regime iraniano in Iraq e a Guantanamo, ha compiuto mosse di riavvicinamento diplomatico con il movimento terrorista Hezbollah alla vigilia delle elezioni libanesi. Ma all’inizio di giugno, gli inglesi hanno potuto riavere solo i corpi senza vita di due ostaggi, Jason Swindlehurst e Jason Cresswell. Una delle ipotesi formulate a suo tempo dal Daily Telegraph era: sono stati uccisi per non far loro rivelare quanto fosse stato coinvolto l’Iran. Visto che probabilmente gli ostaggi erano detenuti in territorio iraniano e non iracheno. Tuttavia, il terrorismo islamico ha già dimostrato più volte di non rispettare gli scambi di prigionieri, restituendo ostaggi uccisi invece che liberarli. In Gran Bretagna sono rimasti sorpresi da tanta barbarie, Israele rischia di esserci ormai abituata.
Pare che sia andata meglio agli Stati Uniti, con la liberazione di Roxana Saberi. Il caso dello scambio terroristi-giornalista è stato sollevato in queste settimane dall’analista Michael A. Ledeen, Freedom Scholar alla Foundation for Defense of Democracies (FDD) di Washington. Il quale, citando fonti vicine alla Casa Bianca, ha anche ricostruito parte della trattativa, che si sarebbe svolta in questi termini: la graduale liberazione di tutti i prigionieri delle forze Qods iraniane in Iraq (30 elementi di spicco e alcune centinaia di prigionieri di minore importanza) in cambio del rilascio della giornalista. Pare anche che l’inizio della trattativa parallela per il rilascio dei 5 ostaggi britannici abbia complicato non poco le cose, permettendo a Teheran di alzare ulteriormente il prezzo. Come la Gran Bretagna di Brown, anche Obama si sarebbe sbilanciato a fare concessioni in termini politici oltre che di scambio di prigionieri.
“L’America accetta un Iran nucleare, mentre Francia e Gran Bretagna non lo possono tollerare” dichiarava Ali Akbar Velayati (consigliere di politica estera dell’ayatollah Khamenei) all’indomani della liberazione di Roxana Saberi. L’America accetta un Iran nucleare? Obama non lo ha mai detto esplicitamente. Ha dichiarato una parziale accettazione dell’energia civile, nel suo discorso al Cairo, ma ha sempre escluso di ammettere la nascita di una nuova potenza nucleare in Iran. Quella di Velayati, dunque, è stata una vera e propria rivelazione. Per di più confermata dalla successiva dichiarazione di Hillary Clinton, la settimana scorsa a Bangkok, secondo cui gli americani sono pronti a coprire con difese anti-missile gli alleati nel Medio Oriente e nel Golfo, quando l’Iran si doterà di armi atomiche. Parlare di difese anti-missile vuol dire, implicitamente, accettare di avere, nel futuro prossimo, un nemico dotato di armi di distruzione di massa. Altrimenti da cosa ci si dovrebbe difendere?
L’impressione, insomma, è che per ottenere subito degli obiettivi di breve termine (Roxana Saberi e altri ostaggi occidentali) l’America si sia fortemente sbilanciata a fare concessioni, prima ancora di riprendere ufficialmente il negoziato sul nucleare. Ma sarebbe un’impressione errata, perché anche senza il pretesto dello scambio di prigionieri, Obama aveva già programmato un percorso di riavvicinamento graduale con il regime di Teheran. Si era già impegnato per un dialogo “senza precondizioni”. Aveva già scritto al regime di Teheran, prima ancora del suo insediamento ufficiale, una lettera di cui a volte la Casa Bianca ammette l’esistenza e a volte la nega. Si era già rivolto al regime khomeinista, esplicitamente, in occasione del capodanno persiano. E’ inoltre noto che gli ambienti di esperti di relazioni internazionali che influiscono maggiormente sulla nuova Casa Bianca siano favorevoli a un Iran nucleare, per ricreare anche nel Medio Oriente quella sorta di “equilibrio del terrore” che caratterizzò l’Europa della Guerra Fredda.
Se dovesse essere confermato quel “Saberigate” ipotizzato da Ledeen (centinaia di terroristi in cambio di una cittadina americana), un’America poco avvezza ai compromessi ne resterebbe scandalizzata. Ma quel singolo compromesso sarebbe comunque solo un dettaglio di un’intera politica di appeasement, che ora come ora può essere “rovinata” solo da un successo della Rivoluzione Verde e dal rovesciamento del regime islamico iraniano.