Titanic torna in 3D sul grande schermo ma a convincere è sempre la storia

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Titanic torna in 3D sul grande schermo ma a convincere è sempre la storia

09 Aprile 2012

“Titanic” di James Cameron è meglio nella vecchia versione o nella nuova, rimessa in circolazione oggi, rimodellata e abbellita con il 3D? Vecchia si fa per dire, poiché il film è del 1998, anche se di acqua sotto i ponti degli effetti speciali ne è passata davvero parecchia. Ma non divaghiamo e rispondiamo alla domanda. È meglio la vecchia, poiché “Titanic” era già girato in 3D, anche se non lo era.

Cameron riuscì in un’impresa disperata e difficilissima: capire se c’era ancora spazio nell’interesse degli adolescenti del 1998, per il racconto cinematografico. Per capirlo aveva bisogno di una grande storia. La grande storia diventa davvero grande se viene inserita all’interno di un grande disastro. “Via col vento” (1939) di Victor Fleming sta lì a dimostrarlo: la Guerra Civile, il più grande disastro toccato in sorte agli americani, produsse il più grande racconto hollywoodiano, nonché il più colossale incasso della storia di tutti tempi. All’epoca di “Via col vento” non c’erano gli adolescenti. O meglio, c’erano, ma non erano considerati una categoria significativa né antropologica, né commerciale.

Cameron per tastare il polso della generazione di “digitali” (i nati sotto il segno della tecnologia intesa come gioco e conoscenza, diversi rispetto agli “analogici”, che la tecnologia l’hanno dovuta appendere con fatica, non sempre ripagati da risultati concreti) scelse due attori giovani, non due grandi divi, come sarebbe stato logico aspettarsi. Alla fine, per farla breve, dopo peripezie immani, riuscì a portare al cinema loro, i “digitali”, a frotte. Ma il miracolo fu totale, poiché anche gli “analogici” accorsero a vedere il film più celebre della seconda metà del XX secolo, così come “Via col vento” lo era stato della prima metà.

A tre lustri di distanza dalla prima proiezioni di “Titanic”, il film non solo non è invecchiato, ma ha conservato intatto il proprio fascino. La storia d’amore di due ragazzi si intreccia con la storia di una grande catastrofe e con la Storia della fine dell’età del progresso dominata dagli europei. A colare a picco con il Titanic non fu solo una nave mastodontica, un gioiello della tecnologia industriale della navigazione, ma un impero basato sul dominio dei mari (quello inglese) e una civiltà (quella europea). In un tempo in cui veniva dichiarata la fine delle “grandi narrazioni”, il film di Cameron dimostrava che gli uomini invece avevano disperato bisogno delle “grandi narrazioni”. Non è detto (anzi sembra provato il contrario) che la tridimensionalità al cinema garantisca maggiore coinvolgimento dello spettatore, grazie all’accresciuta spettacolarità delle immagini. L’obbligo degli occhialini rende il quadro più piccolo, e il colore delle immagini assume una definizione sfocata e meno bella rispetto all’originale.

“Titanic” è l’apoteosi del romanticismo mescolata ad un mostro d’acciaio, battuto, squarciato e poi affondato, da un altro mostro più forte, di ghiaccio, non prodotto dall’uomo, ma dalla natura. L’uomo dominatore dell’acciaio scoprì, nell’impatto, quanto era piccolo, fragile e debole. Ma scoprì anche, nella tragedia, quanto era forte. E la sua forza non risiedeva nella mente, ma nel cuore. Il cuore porta il protagonista a morire, sfinito, per la donna amata. E il cuore di lui (Leonardo Di Caprio), inabissatosi per sempre nella profondità delle acque, rivive per un tempo ancora lungo nel cuore di lei (Kate Winslet). Poi, affinché non si perda per sempre nel nulla dei ricordi, c’è bisogno di un “grande racconto”, che nell’Ottocento finiva fra le pagine dei romanzi, e nel Novecento fra le immagini dei film di finzione. E ancora vive, come se quindici anni fossero volati rapidissimi, alla pari di un fascio di luce splendente e stordente.