
Toh! C’è chi ha paura che l’Italia non sia più serva di nessuno

31 Luglio 2018
Tutti cercano Putin per stabilizzare il quadro internazionale, ma se lo fa Salvini non va bene. “Cette rencontre vient conforter le président syrien, honni des Occidentaux, comme maître du jeu dans son pays, alors que Vladimir Poutine s’apprête à recevoir dès vendredi Angela Merkel, leur premier tête-à-tête depuis un an, qui doit notamment être consacré à la Syrie, puis la semaine prochaine Emmanuel Macron”. L’Afp del 18 maggio racconta della diplomazia del presidente russo in Siria per aiutare l’uscita degli eserciti stranieri, per contenere di fatto anche l’Iran e di come tutto questo sia trattato con Angela Merkel e Emmanuel Macron. Franco Venturini poi sul Corriere della Sera del 18 maggio scrive come sia “stato Putin a ‘suggerire’ al presidente egiziano al-Sisi, suo amico e alleato, di intimare ad Hamas il ritiro dei manifestanti dalla rete confinaria. Cosa che è prontamente avvenuta evitando un nuovo bagno di sangue”. Ora da quel che ci risulta al Sisi è ancora foraggiato ampiamente dall’amministrazione americana per il suo ruolo di stabilizzatore dell’area nonché è il migliore alleato di una Ryad oggi particolarmente legata a Washington. Come sempre avviene nelle vicende internazionali le cose sono abbastanza complicate, però anche da una lettura superficiale di questi avvenimenti viene naturale una domanda: perché solo Matteo Salvini è un porco a volere migliori rapporti con Mosca? Ho scelto questa nota perché consente di mettere in luce un elemento surreale della discussione pubblica italiana: l’uso dell’argomento “amico di Putin” per demonizzare alcuni nostri politici. Tutto ciò mentre l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder e tuttora padrino influente del secondo partito (la Spd) della maggioranza che governa la Germania, è presidente della Rosneft, compagnia petrolifera controllata dal governo russo. E mentre Berlino completa un gasdotto a Nord, quello a Sud è stato proibito all’Eni. Si sa che le questioni di politica estera sono naturalmente tortuose, comprendo dunque che si possano fare delle distinzioni su questa o quella scelta. Ma affrontarle con il tono propagandistico per cui i tedeschi sono sempre giustificabili e gli italiani che non si inchinano a loro sono esecrabili, non solo non serve a comprendere ciò che succede (cosa a cui una stampa anche limitatamente libera dovrebbe servire) ma è anche espressione di un po’ ributtante desiderio di servire, di un animus servendi.
Come si passa da rotweiller della sinistra radicale a botolo da guardia del rito carolingio. “Dovrà sfidare l’Europa che non darà mai il suo consenso”. Curzio Maltese su Venerdì inserto di Repubblica del 18 maggio spiega come il (peraltro forse resistibile) asse Salvini-Di Maio sarà sicuramente messo in rotta dalle supreme autorità dell’Unione europea. E’ interessante, divertente e istruttivo constatare come anche il giornalista eletto al Parlamento di Strasburgo solo 4 anni fa in quanto rottweiler della sinistra radicale contro l’austerità merkelliana, si sia trasformato in cagnolino da salotti bruxellesi nonché botolo da guardia del rito carolingio franco-prussiano. Il mio impegno per l’Occidentale si sta per interrompere per sopravvenuta pausa estiva, e ho scelto questo pensierino di Maltese perché illustra bene l’animus servendi della parte centrale del nostro opinionismo liberal non solo quello espresso da tante ribollite opinioni centrodestriste o centrosinistre ma anche con le posizioni di chi aveva esibito un’adesione a un programma radicale. Magari hanno ragione loro: noi italiani facciamo proprio schifo e non possiamo che farci governare dall’alto e da fuori. Personalmente non ne sono convinto e cerco (faticosamente) un’altra via, e qualunque spiraglio che si apra in questo senso, mi interessa.
Se si alternano le molotov contro i “parvenus” rappresentanti del popolo alle carezze per gli eletti dall’arroganza oligarchica, l’Italia non andrà da nessuna parte. “Alla mercé del dilettantismo dei parvenus e dell’arroganza delle oligarchie”. Ernesto Galli della Logga spiega in un ottimo editoriale sul Corriere della Sera del 18 maggio come la crisi dello Stato italiano venga da lontano e che ciò alla fine abbia determinato una dialettica politica che si svolge solo all’interno delle due alternative prima citate cioè “parvenus” e “oligarchi”. Quanto ai vari guasti provocati dai parvenus non è difficile ricordarsene tanti dal 1994 in poi. Però i disastri veramente decisivi per l’Italia con la svendita del nostro patrimonio opportunamente definita alla Manem-Prodi-Eltsin, con la catastrofica strategia ciampiana basata sui vincoli esterni per disciplinare l’Italia, con la sequela dei governi senza adeguato mandato popolare dal 2011 in poi che hanno determinato pezzo per pezzo l’attuale esplosiva affermazione dei cosiddetti “parvenus”, sono stati tutti disastri provocati da “arroganza delle oligarchie” anche perché sono avvenuti quasi sempre tra il plauso spesso inconsulto del 98 % dei media (sicuramente liberal e di sinistra spesso anche di centrodestra) logorando drammaticamente (e irreversibilmente?) il rapporto tra informazione e società e provocando così un ulteriore degrado culturale generale. Oggi leggiamo che ci sarebbe un “’contratto di governo’, carta privata che ha la pretesa di sostituirsi alla Carta costituzionale” (così Massimo Giannini sulla Repubblica del 18 maggio), “ogni pagina del contratto costerà al contribuente italiano 3,15 miliardi” (Roberto Petrini sulla Repubblica del 18 maggio), “il rischio di una svolta autoritaria, con un ‘esproprio’ degli organi costituzionali competenti, governo e Parlamento” (Così Lavinia Rivara sulla Repubblica del 18 maggio). Insomma siamo di fronte non a prese di posizione critiche ma a un bel lancio di molotov. Che sono ancor meno convincenti perché di fronte ai guasti strutturali prima ricordati, provocati dall’arroganza delle oligarchie, non si è acceso neppure un fiammifero. Non so bene come andranno a finire le nostre cose e apprezzo l’allarme di Galli della Loggia, però sono convinto che il miglior rimedio per le difficoltà di una democrazia sia la democrazia, non la contrazione di questa come appunto si è potuto constatare dal 2011 al 2018. Dunque è opportuno dare una chance agli eletti del popolo criticandoli nel merito ma senza quel polverone che corrispondentemente provoca solo nuovo astio per la già ampiamente citata arroganza delle élite.
Mattarella sotto assedio? Quello più pericoloso per lui è quello impiantato dai suoi stessi maggiordomi innanzi tutto nel mondo della carta stampata. “Alessandro Di Battista ha lanciato il suo dissennato assalto al Palazzo d’Inverno”. Così scrive Massimo Giannini sulla Repubblica del 24 maggio. Poi ci informa che questo assalto al Palazzo d’Inverno consisterebbe, al di là di qualche balorda allusione alla presa della Bastiglia, nel chiedere di mandare dei tweet o scrivere dei post su Facebook in cui si chiede che Sergio Mattarella rispetti la voglia di cambiamento del Paese. Nelle dissennate osservazioni di Giannini, oltre a leggere il rancore di chi ancora non si è ripreso dall’essere stato allontanato -via Matteo Renzi- dalla conduzione di Ballarò, si può cogliere persino un sentimento minimamente condivisibile: in una situazione in cui la classe dirigente, le élite e innanzi tutto i presidenti della Repubblica post ’92, hanno aiutato a disgregare le istituzioni repubblicane, una persona seria e pensosa come Mattarella può costituire un elemento di tregua per ricostruire un tessuto degno di uno Stato moderno, e, in questo senso, criticare frontalmente il presidente della Repubblica può non essere utile per aiutarlo a svolgere questa funzione pacificatrice. Vi è del vero in questo ragionamento, ma ciò implica almeno un paio di subordinate. La prima: non si possono scambiare tre scemenze di Di Battista per una guerra civile russa che fu combattuta con i fucili (e con l’incrociatore Aurora) non con i tweet. Evocare dissennatamente fascismo, comunismo, nazismo e così via, fenomeni resi possibili dai massacri di una Guerra mondiale che non è (per ora) alle porte, nonché usare il termine “populismo” come una clava per non valutare alcuna questione di merito, non apre nessuna via alla pacificazione della discussione. La seconda: Mattarella per il suo sforzo merita un aiuto diverso da quello che gli offrono i suoi vari maggiordomi sulla carta stampata o i suoi consiglieri che cercano di approfittare della scarsa esperienza dei grillini per manipolarli. In mancanza di forze politiche adeguatamente strutturate, con il Pd che è una sorta di asilo nido, con il povero Silvio Berlusconi logorato dalle vicende personali e aziendali (e non parlo del Milan perché il cuore mi sanguina) e inesorabilmente dall’età, almeno un nucleo di opinionismo pubblico dovrebbe aiutare il Quirinale non incitandolo a percorrere vie impossibili né al fondo costituzionalmente né comunque politicamente (le forze politiche che lo hanno eletto oggi dispongono se non erro circa del 18 % dei voti parlamentari) ma a svolgere con più trasparenza e attivismo un ruolo di enucleatore della volontà popolare espressa dal voto del 4 marzo, dovrebbero suggerirgli poi come un capo dello Stato debba tendere a rappresentare la sua Nazione rispetto al sistema di influenze straniere (un qualche freno all’arroganza brussellese sarebbe proprio necessario che partisse dall’alto del Colle) e non viceversa. Su questa via sarebbe più semplice trovare, poi, lo spazio per governare inesperienze, immaturità, non necessarie asprezze che si manifestano (talvolta consistentemente) nella maggioranza che si sta costituendo.