Tolkien, i Cristiani di Oxford e l’inchiostro di Dio
13 Dicembre 2016
di Luca Negri
Mentre le furie della più grande e spietata guerra mai conosciuta a memoria d’uomo infuriavano sul mondo, un gruppo di signori si riuniva regolarmente in un appartamento dell’università di Oxford il giovedì sera e al pub quasi ogni martedì mattina. Si scolavano pinte birra, infatti, ma soprattutto discutevano di letteratura, filosofia, religione e si leggevano a vicenda poesie, saggi, brani di romanzi di loro creazione. In fondo non erano nemmeno così inconsapevoli del fatto che i migliori di loro stavano lasciando un patrimonio prezioso a tutta la cultura mondiale e contribuendo enormemente al risorgere della civiltà occidentale dopo il collasso di quei giorni.
Formavano solo uno dei tanti caratteristici club universitari britannici fondati e animati da studenti e professori, ma i tre membri più influenti e carismatici rispondevano ai nomi di Charles Williams, Clive Staples Lewis e John Ronald Reuel Tolkien. Erano Gli Inklings (qualcosa come “quelli che pasticciano coll’inchiostro) e così è intitolato il bel libro di Humphrey Carpenter, brillante biografo di eroi letterari anglosassoni (Pound, Auden, Waugh, lo stesso Tolkien). L’editrice Marietti ne ha pubblicato negli anni scorsi (nella collana “Tolkien e dintorni”) una edizione e traduzione che amplia quella pionieristica di Jaka Book datata 1985. Si tratta di una lettura che non dovrebbe interessare solo ai cultori de Il Signore degli Anelli, bensì a tutti coloro che hanno a cuore le tesi del pensiero conservatore, le origini e i destini della cultura occidentale e della sua genitrice, la cristianità.
Perché Tolkien, Lewis e il meno conosciuto a livello planetario Williams, erano tre grandi artisti, tre pensatori conservatori e tre cristiani particolari. Condividevano le stesse idee forti basilari e si distinguevano per alcune sfumature e divergenze che in realtà sembravano correre parallele e complementari. In comune avevano una certa vocazione a contrastare le tendenze intellettuali e politiche del loro tempo. Rifiutavano gran parte delle opere contemporanee: Lewis polemizzò per anni con il modernismo di T. S. Eliot, Tolkien deplorava quasi tutta la letteratura prodotta dopo il Medioevo (riteneva Shakespeare un autore sopravvalutato…), mentre Williams era meno ostile alle novità poetiche (e con l’aurore di The Wasteland collaborò assiduamente). Passioni condivise erano quelle per i miti nordici e celtici, per il movimento Preraffaellita dell’epoca vittoriana (e per il grande William Morris, inventore del genere fantasy), per il genio di G. K. Chesterton.
Credevano che il mito fosse realtà, che l’immaginazione dell’uomo potesse riflettere verità eterne, che lo scrittore non fosse altro un “sub-creatore” sottomesso al Creatore primo, che con il cristianesimo il mito si fosse finalmente fatto carne e storia. Erano anche convinti dell’esistenza del demonio e coltivavano una “cruda e fanciullesca fede nei valori oggettivi” per contrastare il relativismo trionfante. Gli Inklings temevano il comunismo sovietico e il nazismo (vi vedevano forse incarnazioni di Sauron, il male assoluto che nel mondo del Signore degli Anelli dimora ad est della Contea, la terra degli Hobbit che ricorda tanto l’Inghilterra…). Durante la guerra civile spagnola avevano simpatizzato per quello che ritenevano il male minore, Franco. Non erano comunque “sinceri democratici” come si dice oggi: per Lewis la democrazia era necessaria solo perché la realtà del peccato originale sconsigliava affidare troppo potere a pochi uomini, Tolkien invece confidava ancora in gerarchia e monarchia.
Li chiamavano “i Cristiani di Oxford”, e ognuno di loro era cristiano a modo suo pur essendo tutti ostili al modernismo religioso, alla tendenza ad espellere il mito e il soprannaturale dalla verità cristiana. Wiiliams era fortemente attratto dall’occultismo rosacrociano e dalla magia, Lewis era un anglicano, apologeta di un cristianesimo giustificabile razionalmente e romanticamente, Tolkien era un cattolico romano sorretto da una profonda fede nei sacramenti, nella presenza di Cristo nell’eucaristia e nei santi. Wiliams metteva tutto ciò (aggiungendovi Dante, Milton, la saga di re Artù) nelle sue poesie e nei suoi romanzi polizieschi che si trasformavano in lotte metafisiche e magiche. Lewis interpretava il mito cristiano in romanzi fantascientifici, libri per l’infanzia (il noto ciclo di Narnia) e novelle altamente didattiche (come “The Screwtape letters”, tradotto da noi con il titolo “Le lettere di Berlicche”).
Tolkien inventava con “Lo Hobbit” e “Il Signore degli Anelli” la mitologia, la geografia, la storia e le lingue di un mondo intero. Un lavoro decennale per trattare gli argomenti a lui cari: la Caduta (dell’uomo a causa del peccato più grave, la sete di potere) e la pericolosità della Macchina (ovvero gli strumenti esteriori, tecnici e industriali per dominare la natura). Nel 1945, con la morte di Williams e la fine della guerra i legami reciproci si fecero meno stretti, gli Inklings smisero di frequentarsi assiduamente. La loro parte l’avevano già fatta. C’era da ricostruire l’Europa e le loro opere cominciavano a circolare. Fu uno sberleffo nei confronti della cultura ufficiale, laica, progressista e sempre più spostata a sinistra il fatto che “Le cronache di Narnia” e la saga dell’Anello venissero lette in principio soprattutto da bambini, operai e gente con bassa scolarità. In pochi anni si sarebbero diffuse in tutto il mondo. Quei signori con birra in mano e il medioevo cristiano nel cuore avevano e hanno ancora molto da insegnare al mondo moderno.
(Il meglio dell’Occidentale, pubblicato il 24 aprile 2014)