Tonino attacca gli equilibri democratici ma è una polizza a vita per il Cav.

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Tonino attacca gli equilibri democratici ma è una polizza a vita per il Cav.

02 Ottobre 2009

Ci risiamo. Alla prima occasione utile Antonio Di Pietro si è aggrappato nuovamente alla giacca del presidente Napolitano. E lo ha fatto aggiungendo alla consueta raffica di slogan populisti e vagamente minacciosi una messa in scena, solo apparentemente innocua, fatta di coppole e sigaroni, non tanto per dimostrare come lo scudo fiscale presentato dal governo possa avvantaggiare Cosa Nostra, quanto per dare seguito a un suo precedente exploit (aveva definito mafioso il parlamento), che gli aveva fruttato qualche rimbrotto ma anche un’ottima eco mediatica.

Perché il metro di valutazione è quello e solo quello. Una sorta di auditel personale: Di Pietro, che nel luglio scorso aveva scritto un pubblico “j’accuse” pesantissimo all’indirizzo del Presidente della Repubblica, reo a suo giudizio di non fare abbastanza per arginare gli eccessi del governo Berlusconi, non si ferma di fronte al rispetto per le Istituzioni e per gli equilibri democratici e nemmeno davanti alle possibili strategie politiche della coalizione di cui fa (o piuttosto faceva) parte.

Se il suo personale termometro di popolarità gli consiglia di associare la mafia ai parlamentari e di disegnare il Capo dello Stato come una sorta di passacarte connivente, lo fa senza troppi scrupoli.

Il suo interesse è passare agli occhi degli elettori come unico rappresentante credibile dell’opposizione e come unico depositario della legalità e della moralità nella politica. Un gioco al massacro che sembra finalizzato molto più a distruggere il Partito Democratico (dalle cui fila in definitiva Napolitano proviene) che a costruire un’alternativa possibile a Berlusconi.

Le primarie del Pd, in questo senso, saranno uno spartiacque decisivo, e forse anche per questo Di Pietro sta spingendo sempre più forte sull’acceleratore.

La probabile vittoria di Bersani renderà ancora più complesso il rapporto di forze all’interno del centrosinistra. Se è vero infatti che al “melting pot” veltroniano, con il sogno di una vocazione maggioritaria di un partito onnicomprensivo ma incapace di dettare una linea univoca su questioni cruciali, si sostituirà la “salad bowl” bersaniana, con una maggiore attenzione alle diverse identità presenti nella galassia del centrosinistra e con una rinnovata inclinazione alle alleanze e alle logiche di coalizione, è anche vero che da almeno due anni a questa parte l’Italia dei Valori è fumo negli occhi per i dalemiani. Ne è un chiaro esempio la vicenda che coinvolse Nicola La Torre, fedelissimo dell’ex leader Ds, sorpreso in diretta tv scrivere consigli tattici a Italo Bocchino (Pdl) nell’intento di mettere in difficoltà Massimo Donadi, luogotenente di Antonio Di Pietro.

Un’avversione che va ben oltre l’antipatia o la scarsa sintonia. Ma che rappresenta un problema vero per chi oggi si oppone ai condoni dello scudo fiscale senza necessariamente gettare fango sul Presidente della Repubblica e domani ambirebbe a far tramontare la stella del Cavaliere.

Di Pietro sa di essere quasi imprescindibile per raggranellare percentuali di voti dignitose, ma sembra avere interesse a cavalcare solo un massimalismo giustizialista fatto di battute forti e di manifestazioni folcloristiche.

Una strategia che, bontà sua, gli ha consentito di allargare il proprio orticello fino a confini inizialmente impensabili. Ma che costituisce anche una polizza a vita per il futuro del governo Berlusconi. E dei governi che seguiranno.